domenica 29 gennaio 2012

Una scuola disgustosa.

"Profe, quella scuola qui fa schifo!" mi sono sentita ripetere spesso dai miei studenti, in una forma linguistica non proprio ortodossa ma comunque efficace.
E quando ho cercato di indagare su quali fossero le ragioni che provocavano tale disgusto, ho sempre assistito a discussioni animate ed interessantissime che mi hanno aiutato a tentare di fare del mio meglio perchè la scuola "facesse meno schifo".
I ragazzi ci guardano, ci analizzano, cercano di cogliere tutte le incongruenze e le contraddizioni che caratterizzano il comportamento quotidiano di noi adulti. E si adeguano. Salvo poi pagarne pesantemente le conseguenze.
Cosa lamentano gli studenti? Gli altri non so, ma i miei studenti, ad esempio, sostengono di essere spesso disorientati dai messaggi ambigui che la componente docente del Consiglio di Classe invia loro.
C'è il collega di latino "buono" che assegna voti alti anche ad una traduzione piena di errori gravi; viceversa il collega di matematica "Cattivissimo, profe!" non ha mai dato più di sei, nemmeno ad un compito perfetto; e così via.
"Ma scusate - dico io candidamente - "E le griglie? E le tabelle di valutazione?"
Qualcuno mi confessa che solo io o pochi altri colleghi "perdiamo tutto quel tempo" a spiegar loro, ogni volta che si riconsegna un compito scritto:
- la modalità di assegnazione del punteggio, indicata già in precedenza;
- la soluzione dell'esercizio richiesto, che, scritta dall'insegnante sulla lavagna, deve essere rigorosamente ricopiata dagli studenti sul quaderno dei compiti e successivamente discussa;
- la corrispondenza della valutazione assegnata con quella prevista dal Collegio dei docenti ed inserita nel P.O.F. (Piano dell'Offerta Formativa).
"E poi, profe, lo sa cosa c'è? C'è che spesso ci minacciate di voti bassi o di punizioni che poi non arrivano quasi mai. Oppure che tutti gli studenti, sia quelli che studiano sia quelli che non fanno niente, alla fine sono promossi. E allora, sa che le dico? Io non studio più, tanto si va avanti lo stesso!"
Che dire? Hanno ragione. Certo, il loro comportamento e il loro impegno per lo studio non sempre è adeguato.
Però dovremmo chiederci perchè accade.
Anni di lassismo e di buonismo da parte degli adulti hanno provocato un abbassamento della qualità dell'insegnamento-apprendimento.
D'altra parte, la società italiana contemporanea, soprattutto attraverso i mass-media, propone modelli e miti che ben poco hanno a che fare con l'istruzione, la cultura, il piacere dell'apprendere e la fatica di imparare. Il mito della società contemporanea è quello dei soldi, tanti, facili e che comunque danno la felicità, altro che la cultura, altro che la scuola!

(Già pubblicato su altra piattaforma il 7 settembre 2008)

sabato 28 gennaio 2012

Cuore di pietra

A volte il dolore pietrifica.
E' così intenso, avvolgente, duro, tanto che anche l'anima, il cuore, ogni piccola parte del corpo diventa un macigno da portare nel mondo con fatica. O con impassibilità, come se nulla fosse accaduto, come se il dolore non ci appartenesse, al punto che chi ci sta intorno si convince quasi che sia così, che quel dolore non sia nostro, non ci appartenga. C'è chi arriva a pensare anche che il nostro sia un cuore di pietra.

venerdì 27 gennaio 2012

27 gennaio

Oggi è il 27 gennaio. Oggi è la Giornata della Memoria.
Era infatti il 27 gennaio 1945 quando il campo di Auschwitz fu liberato.
Tutti noi abbiamo questo impegno. Tutti noi abbiamo questo dovere. Ce lo hanno chiesto, ce lo chiedono, quotidianamente, le vittime innocenti di allora, le vittime innocenti di oggi, le vittime innocenti di sempre.


L'IMPEGNO DELLA MEMORIA

IL DOVERE DELLA MEMORIA


Auschwitz (Canzone del bambino nel vento) 1966
Francesco Guccini

Son morto ch'ero bambino

son morto con altri cento

passato per un camino

e ora sono nel vento.

Ad Auschwitz c'era la neve

e il fumo saliva lento

nei campi tante persone

che ora sono nel vento.

Nel vento tante persone

ma un solo grande silenzio

che strano, non ho imparato

a sorridere qui nel vento.

No, io non credo

che l’uomo potrà imparare

a vivere senza ammazzare

e che il vento mai si poserà

che il vento mai si poserà.

Ancora tuona il cannone

ancora non é contenta

di sangue la belva umana

e ancora ci porta il vento

e ancora ci porta il vento.

Ancora tuona il cannone

ancora non e` contento

saremo sempre a milioni

in polvere qui nel vento.



Se questo è un uomo (1945 – 1947)

Primo Levi


SE QUESTO E' UN UOMO

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì e per un no.

Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole:
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

(Post, in parte modificato, già pubblicato su altra piattaforma il 27 gennaio 2009)

domenica 22 gennaio 2012

Relazioni disfunzionali: effetti di una distorsione nel processo comunicativo

A beneficio di tutti i neo-immessi in ruolo che si trovino a passare di qui, a partire da oggi pubblicherò su questo blog una serie di contributi che potrebbero risultare utili per la realizzazione degli elaborati on-line e della relazione finale da presentare al Comitato di Valutazione.
Saranno apprezzati gli eventuali commenti che possano dar vita alla discussione sulle tematiche affrontate.
La prima proposta è uno degli elaborati da me realizzati nel mio anno di prova, il cui titolo è quello assegnato a questo post.

"L’attività educativa si fonda sulla relazione comunicativa che si stabilisce tra il docente e l’allievo.
Come in tutti i processi comunicativi, può accadere così che anche nella comunicazione umana si manifestino fenomeni di distorsione ben più rilevanti di quelli di natura fisica o connessi alle caratteristiche dei media utilizzati, tipici del processo di trasmissione delle informazioni.
Le distorsioni di ordine cognitivo, linguistico e psicosociale, solo per citare le più importanti, tipiche della comunicazione umana, possono inficiare la quotidiana vita scolastica, dando luogo a  varie forme di relazioni disfunzionali.
L’incapacità di manifestare chiaramente le proprie esigenze, di evidenziare le proprie difficoltà e i propri limiti, il timore di essere giudicato negativamente dal proprio interlocutore possono essere mascherati da forme di inganno o auto-inganno messi in atto sia dal docente che dagli allievi.

La relazione simbiotica, i pregiudizi educativi identificati come “ordini” e individuati dalla teoria dell’Analisi Transazionale elaborata da E. Berne e i giochi psicologici consentono di individuare ed analizzare le forme più diffuse di relazione disfunzionale nel rapporto insegnante-allievo.

All’origine della relazione simbiotica vi è un fondamentale inganno: “credere di dare risposta ad un bisogno dell’altro mentre si risponde solo a un proprio bisogno”.
Esistono due forme di relazione simbiotica: complementare e competitiva.
Nel primo caso l’adulto (nel caso specifico, il docente) tenderà a aiutare l’alunno prima ancora che questi formuli una richiesta d’aiuto. Ciò consentirà all’insegnante stesso di appagare il proprio bisogno di sentirsi utile, ma, contemporaneamente, impedirà all’allievo di sviluppare la propria autonomia.
Nel secondo caso il soggetto svilupperà la tendenza ad agire solo in funzione del giudizio dell’altro e non per una propria scelta consapevole (potrebbe essere il caso di due alunni che sviluppano una competizione reciproca dettata dal bisogno di sentirsi migliore rispetto all’altro e non per il piacere di imparare per soddisfare una curiosità personale).

I rapporti interpersonali a scuola possono essere disturbati anche da pregiudizi educativi  che nascono dal timore del docente di fallire nel proprio ruolo e che si concretizza mediante atteggiamenti di critica eccessiva nei confronti degli allievi. L’Analisi Transazionale ha individuato e identificato cinque modalità critiche che possono intervenire nella relazione tra docente e studenti.
Secondo l’Analisi Transazionale, i rapporti interpersonali possono essere ostacolati da messaggi genitoriali appresi in modo particolare durante la prima infanzia, ed in seguito riconfermati nel corso del tempo divenendo veri e propri “ordini” interiorizzati che limitano la spontaneità e la libertà di espressione della personalità individuale.
I cinque ordini  individuati dall’Analisi transazionale sono: "Compiaci", "Sii perfetto", "Sii forte", "Spicciati", "Tenta disperatamente".
Ne consegue che il bambino che ha assimilato di essere accettato dagli altri solo se è "obbediente", solo se è "perfetto", solo se è "forte", oppure se è "veloce" o "prova" semplicemente a fare qualcosa senza obiettivo alcuno, sarà inconsapevolmente condizionato nel suo agire: non "permetterà" a se stesso di effettuare scelte libere e diverse nelle varie situazioni, poiché avvertirà disagio e ansia andando contro l’ordine prescritto.
Anche l’adulto potrà essere condizionato da uno o più ordini che appartengono al bagaglio personale di ciascuno e che costituiscono un limite nelle relazioni interpersonali.
É possibile individuare tali ordini nei comportamenti degli alunni analizzando attentamente, ad esempio,  il linguaggio adottato e cogliendo nell’uso dei termini utilizzati il condizionamento in atto.

Anche attraverso i giochi psicologici è possibile individuare i rapporti disfunzionali che si manifestano sia nella vita sociale che nella vita scolastica.
Secondo l’Analisi Transazionale, il gioco psicologico ha origine da problemi personali di due o più interlocutori e si fonda su relazioni ambigue, duplici, sotterranee che emergono improvvisamente creando disagio ed incomprensione tra gli individui coinvolti.
In ambito scolastico è possibile osservare varie tipologie di giochi psicologici particolarmente emblematici e frequenti, che si manifestano in ogni ordine di scuola a partire dalla scuola dell’infanzia.
Nel gioco i due interlocutori manifestano rispettivamente il bisogno di dare aiuto senza verificare il bisogno di chi lo riceve e il bisogno del destinatario di pretendere e, allo stesso tempo, rifiutare tale aiuto.


Conoscere i meccanismi psicologici e inconsci che sono alla base dei comportamenti individuali permette all’insegnante di potersi auto-analizzare e di individuare le cause di comportamenti di rifiuto, di sfida, di rabbia, di aggressività che  si manifestano nella relazione educativa.
Prendere consapevolezza dei propri bisogni e dei propri limiti ed aiutare gli studenti a fare altrettanto, definendo chiaramente il proprio ruolo, i propri compiti, i patti reciproci potrà costituire   la base per impostare il rapporto educativo, facendo leva sugli elementi essenziali della relazione educativa: la persona, e non gli apprendimenti; il  saper essere e non il mero sapere.
Nella scuola superiore, ciò significa ascoltare le richieste degli studenti ma imparare, contemporaneamente, a distinguere le reali richieste d’aiuto da quelle pretestuose. Significa altresì mettere gli studenti davanti alle loro responsabilità ma, allo stesso tempo, chiarire bene i nostri obiettivi e renderli chiari agli allievi: l’onestà intellettuale delle scelte del docente deve essere percepita dallo studente e diventare modello di riferimento per un rapporto di rispetto reciproco."


sabato 21 gennaio 2012

così fan tutti (o molti)

In prima, Emilio era particolarmente timido. Un ragazzino intelligente, studioso, ma quasi impaurito dai compagni della classe in cui era capitato. Era una classe di un professionale meccanici, mica il liceo classico. Dentro c'era di tutto. Del resto si sa: l'obbligo scolastico bisogna pur assolverlo e se i CFP (Centri di Formazione Professionale) non ti accettano a causa del numero chiuso, in qualche scuola bisognerà pur andare. E che c'è di meglio di un professionale meccanici? Così, in certe classi prime, composte da 25/28 studenti, di cui almeno la metà buttati fuori dalla scuola media con un giudizio di "sufficiente" che sufficiente non è, è già tanto se, a fine anno, si riesce ad essere promossi. Emilio decise di adattarsi per sopravvivere, come da sempre tutte le specie viventi hanno fatto. In quelle classi non c'era bisogno di studiare più di tanto, e comunque essere il più bravo della classe era un ruolo scomodo: troppe minacce da parte di alcuni, più grandi e forti di lui. Parlarne con i professori era inutile: quand'anche lo avessero protetto tra le mura dell'istituto scolastico, prima o poi sarebbe dovuto tornare a casa. E diventava rischioso anche uscire in paese con gli amici, andare in palestra o all'oratorio. Bisognava cambiare, bisognava adattarsi.
Ed Emilio si adattò. Negli anni successivi diventò uno dei più violenti ed aggressivi studenti della sua classe. Sembrava quasi si compiacesse a deridere i suoi compagni più deboli ed a fronteggiare spavaldamente gli insegnanti, soprattutto quelli alle prime armi, più sprovveduti. Le sue argomentazioni erano precise e raffinate, un oratore nato, dotato di una competenza espositiva arricchita dalla sua preparazione culturale.
Poi, in quarta, accadde qualcosa. A gennaio vennero aggregati alla classe due nuovi studenti, provenienti da altri istituti. Il loro carisma conquistò quasi tutti i compagni dell'istituto. Erani due "fighi" quelli lì, altro che! Due persone di mondo. Se ne fregavano di tutto, non avevano peli sulla lingua, insultavano tutti, studenti, professori, anche la stessa preside che, al loro cospetto, taceva, quasi intimidita. Frequentavano brutti ambienti, quei due, ambienti pericolosi. Meglio non impicciarsi e non rischiare di dover portare l'auto a riparare ogni settimana: gomme tagliate, vetri rotti, graffi sulla carrozzeria. Non importa se poi quei due iniziavano all'uso di pasticche ed altro anche i ragazzini di prima, gestendo i loro traffici nei corridoi e nel cortile della scuola.
Emilio decise di provare anche lui. Le prime pasticche gliele regalarono (un vero affare, anche se non è che costassero poi molto, 5 euro ciascuna, una sciocchezza...). In fondo, che cosa gli sarebbe costato provare? Anche perchè quei due gli dicevano apertamente che era uno sfigato, un bamboccio, un cocco dei profe, altro che ribelle! Provò. Così facevano tutti, perchè non avrebbe dovuto farlo anche lui?
Dimostrò di non essere un bambino. Era un uomo, spavaldo e coraggioso! I due ne apprezzarono le gesta e lo accolsero nella loro congrega.
I suoi genitori cominciarono a non riconoscerlo più. Intanto dormiva, in continuazione, anche in classe. Non aveva più voglia di far nulla. I suoi insegnanti che, nonostante la sfrontatezza, ne apprezzavano l'acume e le capacità, videro quella mente appassire. Nei momenti di lucidità apparivano solo alcuni tratti delle sue potenzialità. Ma spesso, durante un'interrogazione o un compito in classe, improvvisamente dimenticava ciò che avrebbe voluto dire o scrivere. Allora cominciava ad imprecare, urlava e se la prendeva con quei due: "Drogati!", li apostrofava così, incurante della presenza degli insegnanti, incurante che lo ascoltassero.
Il consiglio di classe decise di ammetterlo comunque agli esami di stato. Che furono un disastro. Emilio fu bocciato.
Non so che fine abbia fatto Emilio. Emilio non esiste anche se io l'ho incontrato. La sua storia è la sintesi di tante storie che accadono nella nostra scuola, nella nostra società. Come adulto e come docente penso che non si possa continuare a far finta di nulla, non si può continuare a vedere le menti delle nostre giovani generazioni distruggersi così, perchè così fan tutti...

(Post, in parte modificato, già pubblicato su altra piattaforma il 26 giugno 2008)

venerdì 20 gennaio 2012

"Perle ai porci"...

...sento esclamare, ogni tanto, da qualche collega furibondo mentre, uscendo dalla classe, si lamenta di dover gestire adolescenti riottosi a ogni regola, maleducati o ineducati che sembrano venire a scuola solo per il gusto di umiliare, sbeffeggiare, insultare gli insegnanti, non solo i più giovani ma anche quelli incanutiti e con esperienza pluridecennale.
Il problema è particolarmente diffuso nelle prime classi degli istituti professionali o degli istituti di istruzione e formazione professionale.
Pensare di risolvere il problema intervenendo con punizioni quali note sul registro e sospensioni dalle lezioni è, a mio avviso, pressoché inutile. Rimproverarli alzando la voce è deleterio. Spesso, dietro questi studenti, ci sono storie di disagio esistenziale, non necessariamente dovute all'estrazione sociale: il male di vivere, la ricerca di un senso da dare alla propria esistenza può colpire tutti, qualunque età si abbia, a qualunque classe sociale si appartenga.
Probabilmente l'ironia, il sorriso, la disponibilità all'ascolto, il non raccogliere le provocazioni (tali, sono infatti atteggiamenti simili) può essere molto più incisivo e produttivo.
Certo, può capitare a tutti di sbraitare e infuriarsi, approcciarsi a questi studenti con malanimo e fastidio. Ma il clima di classe lo crea l'insegnante e gli studenti sentono, a pelle, qual è lo stato d'animo con cui un docente si propone loro.
 Il primo a fidarsi deve essere l'insegnante, non gli alunni. Il primo ad ascoltare, ad essere disponibile, a voler pensare che in ognuna delle persone che ha di fronte ci sono capacità e sensibilità che a volte fanno fatica a esprimersi.

giovedì 19 gennaio 2012

l'interrogazione

Io detesto le interrogazioni. Mi riferisco all'interrogazione classica, quella in cui lo studente, chiamato alla cattedra o, al limite, lasciato al suo banco, risponde a una serie di domande dimostrando così di aver appreso. Questo non significa che io non interroghi: a volte gli studenti (e, lo sottolineo, i loro genitori) sono più tradizionalisti degli insegnanti e vogliono l'interrogazione. Quella, appunto, classica.
La verifica della acquisizione dei contenuti e delle competenze può essere tuttavia effettuata anche attraverso altre modalità: l'organizzazione dell'attività di studio, individuale o di gruppo, la partecipazione alla discussione su argomenti di studio con contributi pertinenti, l'analisi e l'esposizione di una determinata problematica.
In questo modo è possibile riuscire ad individuare la modalità attraverso cui lo studente può esprimere le proprie potenzialità dimostrando ciò che ha imparato.
E' questa una modalità di verifica dell'apprendimento che richiede tempo, a volte molto tempo.
Ma a scuola, a mio avviso, il tempo così speso non è mai perso.

(Già pubblicato su altra piattaforma il 27 novembre 2009)

mercoledì 18 gennaio 2012

Sogno...

Sogno una scuola in cui, entrando, ci si sorrida e ci si senta fieri di esserci.
Sogno una scuola in cui non si debbano, ogni volta, ricordare le regole di buona educazione.
Sogno una scuola in cui gli studenti abbiano voglia di apprendere e i docenti abbiano voglia di insegnare.
Sogno una scuola in cui ci si senta parte del tutto e in cui non si tema di comunicare, non si tema di essere equivocati esprimendo il proprio parere, in cui tutti si possa crescere rispettandosi reciprocamente.
Sogno una scuola libera da pregiudizi, secondo cui tutti i docenti sono dei fannulloni; gli studenti dei fannulloni maleducati e arroganti sostenuti da famiglie assenti o fin troppo presenti che pretendono di entrare nel merito della professionalità docente; i dirigenti amministratori tesi a garantire solo l'aumento del numero degli iscritti e pertanto pronti a schierarsi sempre e solo dalla parte degli utenti ovvero gli studenti e le loro famiglie.
La scuola che sogno è quella in cui sono, quella in cui credo, quella per cui io e molti altri, studenti, genitori, docenti e dirigenti cercano di dare il massimo nonostante le difficoltà e i pregiudizi; quella che si nutre dell'impegno comune e del rispetto reciproco; che non è perfetta ma che è animata dalla volontà di migliorarsi.

(Già pubblicato su altra piattaforma l'11 dicembre 2009)

Per sempre

Giura che lo ama. Che resteranno insieme per sempre. Che da quando lo ha incontrato, la sua vita ha avuto, finalmente, un senso.

Hanno festeggiato il loro anniversario con un video pubblicato su un social network, affinché tutti sapessero dell'importanza del loro amore.

Ho sorriso e ho provato tenerezza e timore guardando quel video. Loro hanno 16 anni.

Io quasi 50.

E ho imparato che gli amori giovanili spesso svaniscono, con la stessa immediatezza con cui sono nati.

(Già pubblicato su altra piattaforma il 6 agosto 2010)

venerdì 6 gennaio 2012

La sfida della vita

Il dramma, ogni volta, per chi resta, è accettare la sfida della vita, che continua, nonostante la rabbia, nonostante la sofferenza, il dolore, l'incredulità, lo sgomento.
Il dramma è sapere che la vita continua, nonostante tutto, nonostante l'assenza.

"Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che tu risvegli la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud alza i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.
Non voglio che vacillino il tuo riso né i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità di gioia,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi nella mia assenza come in una casa.
E' una casa sì grande l'assenza
che entrerai in essa attraverso i muri
e appenderai i quadri nell'aria.
E' una casa sì trasparente l'assenza
che senza vita io ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò nuovamente."
(Pablo Neruda: "Sonetto XCIV" da "Cento sonetti d'amore - Notte")