Tra i tanti buoni propositi che spesso mi dò ma non realizzo, c'era quello di pubblicare su questo blog alcuni dei miei elaborati scritti nel 2006, in occasione della mia immissione in ruolo, a beneficio dei neo-immessi in ruolo, non perché li copiassero ma perché ne potessero prendere eventualmente spunto o ne facessero oggetto di discussione. Travolta dagli impegni dell'ultima parte dell'anno scolastico, riesco solo oggi a passare di qui per proporre questo testo, consapevole che non mi sarà possibile pubblicarne altri prima del termine dell'anno scolastico.
"Condizione e cultura giovanile
nella società e nella scuola: riflessioni e considerazioni.
Il relativismo imperante della
società italiana contemporanea e l’omologazione massmediatica dei modelli di
riferimento rendono sempre più difficoltoso il compito educativo.
Adulti e giovani si trovano,
inoltre, spesso sommersi da una valanga di informazioni che travolgono e quasi
sempre sovrastano quelle che tradizionalmente vengono trasmesse nelle aule
scolastiche.
Accade così che i nostri
adolescenti, con cui quotidianamente, come docenti, entriamo in contatto,
appaiano lontani, apatici, annoiati di fronte a una “cultura dei libri” che non
riconoscono come propria, distante anni-luce da quella che considerano la loro
cultura.
La scuola viene spesso vissuta
dagli adolescenti con disagio, quel disagio che nasce dalla difficoltà di
capire il senso, il valore dei contenuti proposti, in un contesto sociale che
dà importanza solo all’apparenza e al denaro. In un’età difficile qual è quella
che va dai 13 ai 18 anni, molti finiscono per perdersi, per omologarsi al
modello dello studente che non studia ma trascorre le ore scolastiche
aspettando l’intervallo o scrivendo sul diario pensieri o slogan che esprimano
il proprio mondo interiore, più o meno complesso.
Nelle classi dell’Istituto
Professionale (ma succede anche negli altri indirizzi di studio della scuola
secondaria superiore) presso cui attualmente insegno Italiano e Storia, capita
spesso di trovarsi di fronte alunni così, che ritengono inutile lo studio di
alcune materie perché “Il tornio gira anche senza Dante”, come ha esclamato
qualche mese fa un mio studente.
La sfida allora, cui i docenti
sono chiamati, è quella di aiutare i nostri ragazzi a comprendere che il ruolo
della scuola non è quello informativo (in cui al momento risulterebbe perdente,
visto il bombardamento di informazioni, per lo più non mediate, cui i nostri
giovani sono sottoposti), ma formativo.
La scuola deve offrire a tutti la
possibilità di formarsi innanzi tutto come esseri umani, uomini e donne che
vivono, amano, pensano con la propria testa,
cittadini responsabili e non solo e unicamente lavoratori.
La scuola, attraverso l’attività
dei docenti, può e deve fornire modelli alternativi a quelli imperanti,
trasmettendo il gusto per le emozioni vere (e non quelle ad esempio, mediate
dall’uso di sostanze stupefacenti, sempre più diffuse, ahimè, tra le nostre
giovani generazioni); insegnando a guardarsi dentro e a capire chi si è e ciò
che si vuole veramente, senza farsi trascinare per noia o debolezza dalle
cosiddette “cattive compagnie”.
In fondo, poi, chi sarebbero le
“cattive compagnie”? Dovremmo chiedercelo, noi adulti, e spiegarlo anche ai
nostri ragazzi: le “cattive compagnie” sono date dall’unione di chi si è perso,
facendosi schiacciare e travolgere da modelli falsi, dai falsi valori
imperanti, seguendo la logica del “tutto e subito” o del “perché no?” che ci
circonda.
Così, se lo scopo è apparire,
“avere”, piuttosto che “essere”, nulla più ha senso, nulla più è sacro. Ugualmente, chi ha ancora speranze, sogni, progetti, teme di essere un alieno, un “non
adatto”.
Questo non si riferisce a tutti, naturalmente.
Ci sono giovani, ragazzi e ragazze, che si dedicano ad attività di volontariato
di diverso tipo, attività di cui vanno fieri, o che sono solidali con i loro
compagni aiutandoli a fare i compiti o coinvolgendoli nei loro hobby.
I nostri ragazzi hanno bisogno di
credere. Hanno bisogno di una società adulta che dia loro delle regole certe. Che
dia loro una speranza per un futuro che sembra già perduto.
“Ai suoi tempi era diverso, era
tutto più certo” mi è stato detto dai miei studenti di quarta, nel momento in
cui li invitavo a studiare per sé stessi, per il gusto di imparare e, magari,
anche per realizzare i propri progetti, i propri sogni.
C’è, nella maggior parte dei
nostri ragazzi, tanto scetticismo, tanta rassegnazione, una sorta di
disillusione diffusa, spesso maschera di una voglia di credere nonostante la
mancanza di punti di riferimento solidi e precisi della società contemporanea.
Per questo oggi educare è così
difficile. I nostri ragazzi hanno bisogno di modelli coerenti che siano loro di
esempio. Non possiamo trasmettere loro messaggi ambigui, ambivalenti. Non
possiamo pretendere che credano in ciò in cui noi non crediamo.
“Uno potrà essere laico fin che
vuole, ma se nulla è sacro, se tutto è manipolabile, comprabile, vendibile,
allora la vita nostra è molto precaria e non vale molto.”
Il docente deve trasmettere
ideali, valori, insegnando ad accettare sé stessi e i propri limiti, in un
impegno costante che porti alla valorizzazione di ciascuno degli studenti di
cui si occupa.
Ciò significa ascoltare gli
studenti, le loro ansie, le loro difficoltà; insegnare ad esprimere emozioni e
a non vergognarsene; concretamente può anche significare, come mi è capitato
qualche mese fa in una classe quarta, passare due ore a discutere sulle
aspettative reciproche e ritrovarsi poi più solidali, uniti in un obiettivo
comune che non è solo quello disciplinare, ma è soprattutto quello formativo.
Ascoltare, dunque. In una società
che va di corsa e non è disposta a fermarsi ad ascoltare, i nostri ragazzi
devono trovare nella scuola gli spazi per essere ascoltati (esigenza che il
legislatore ha accolto con la legge
309/1990 e l’istituzione dei CIC, centri di informazione e consulenza, volta a
prevenire il fenomeno delle tossicodipendenze) e ascoltare, scoprendo il gusto
di essere, di sapere, di comunicare,
arrivando ad apprezzare “quei beni di verità e umanità […] che possano aprire
orizzonti e alimentare a lungo la vita, al di là dell’effimero”. "
Università 2.0 o Università '20?
RispondiEliminaGENOVA - 8 Ottobre 2012
Francesco Profumo, Ministro dell'Istruzione, nei confronti degli studenti: "Se [...] portassero il tablet o i loro pc in classe, in questo modo partiremmo da una buona base."
ROMA - 9 Ottobre 2012
Muniti di pc e tablet, ci apprestiamo a seguire la lezione; c'è chi ha già power point attivo con l'intento di realizzare le slide della lezione in tempo reale; chi è pronto ad "immortalare" la spiegazione con l'i-phone; chi struttura tabelle in excel, pronto ad inserire dati empirici...
Entra l'insegnante: "Ragazzi, mi dispiace ma il proiettore non funziona... oggi niente slide... si fa lezione alla vecchia maniera... old school... lavagna e gessetto. A proposito... che fine ha fatto il gessetto? Qualcuno ha un gessetto con se?"
No, Prof. ma abbiamo tutti tablet e pc...
Ciaoo, Nyko
Se i Mass media e la tecnologia audiovisiva;se i prodotti della società moderna hanno prodotto una scuola noiosa,ormai ridotta a parcheggio pubblico per studenti ,allora anche la scuola deve cambiare,deve essere assolutamente moderna,ricercando nuove strategie per coinvolgere e motivare i ragazzi;sì se necessario anche facendo meno lezioni di Dante e Promessi sposi, a favore di un potenziamento dello spirito critico attraverso la lettura e la scrittura e l'esposizione orale, perchè sono questi i valori che si sono persi stradafacendo.I ragazzi amano la tv, bene allora giù con lezioni di tv;amano essere bombardati con audiovisivi?perchè questa modalità di comunicazione non implica sforzi o concentrazione particolare?Allora gìù lezioni con contenuti presentati attraverso quelle modalità ecc
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