lunedì 20 febbraio 2012

L'isola felice o l'isola che non c'è

Sarebbe bello riuscire davvero a trovare un accordo sui criteri comuni rispetto agli obiettivi comportamentali che i nostri studenti dovrebbero raggiungere.
La verità, però, è che attualmente non esistono, nella società, nella famiglia e nella scuola, criteri condivisi.
Una trentina di anni fa, nessuno studente si sarebbe mai sognato di vestirsi sconvenientemente, di non alzarsi all'ingresso o all'uscita dell'insegnante, di ruminargli in faccia, o, peggio ancora, di rispondergli sgarbatamente e inopportunamente.
Magari accadeva in occasione di scioperi e occupazioni ma gli studenti (mi riferisco a quelli delle scuole superiori) sapevano benissimo che si trattava di episodi occasionali, una sorta di vero e proprio periodo momentaneo di "licenza" da cui presto si sarebbe tornati nei ranghi.
Ricordo ancora chiaramente come finì l'occupazione di tre giorni del mio liceo (era il 1975 e io frequentavo la quarta ginnasio): dopo l'arrivo della polizia, il preside e i docenti contattarono gli studenti del comitato studentesco promotori della "rivolta" e li invitarono a pulire perfettamente la scuola. Ci armammo tutti di ramazze, secchi e stracci e pulimmo, sotto il loro occhio vigile, fino al tardo pomeriggio.
Proviamo invece a metterci attualmente d'accordo su che cosa significhi "vestirsi sconvenientemente".
Qual è la lunghezza tollerata dei pantaloni? Quanto deve essere lunga la maglietta e quali scritte non deve assolutamente riportare? Ieri, durante il Collegio dei Docenti, una collega sosteneva che ella trova sconveniente la dicitura della marca di una nota multinazionale produttrice di articoli sportivi che utilizza manodopera minorile. Vietiamo tutto o non vietiamo nulla?
Il problema però è che i ragazzi hanno bisogno di regole precise e condivise. Di certezze. E le certezze, di questi tempi, probabilmente si sono  rifugiate   su un'isola felice o sull'isola che non c'è.
‎(Già pubblicato da Critolao su altra piattaforma il ‎18 ‎settembre ‎2007)

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