domenica 23 novembre 2014

Un mestiere speciale

Quello dell'insegnante è un mestiere speciale che richiede interesse e passione per essere esercitato nel modo migliore. Ma la passione e l'interesse, a volte, vengono meno.
Così tutto appare faticoso, squallido e, soprattutto, inutile. Non è necessariamente colpa degli studenti: ci sono momenti in cui, al di là delle situazioni contingenti, si ha voglia di spendersi per quegli stessi studenti che, invece, in altre fasi della vita professionale, irritano profondamente il docente e rendono spiacevole il suo stare a scuola. 
A me è successo una decina d'anni fa, quando per un certo periodo mi è capitato di sognare   tutte le notti di essere rimasta chiusa dentro la scuola. Ed è successo l'anno scorso. In entrambi i casi ho pensato di lasciare questo mestiere, di dedicarmi ad altro, a qualunque altra professione che non fosse quella dell'insegnante.
Poi, quando quel periodo terribile è passato, mi è stato chiaro che ero io, per motivi diversi, ad avere bisogno di un momento di distacco, un anno sabbatico che, a mio avviso, dovrebbe essere regolarmente previsto per chi fa questo mestiere. Che, non smetterò mai di dirlo, è il mestiere più bello del mondo e non baratterei con nessun altro. Richiede però entusiasmo, passione, coinvolgimento emotivo, amore. Emblematico è, a questo proposito, quanto accade al protagonista del film "Auguri professore" interpretato da Silvio Orlando e diretto da Riccardo Milani. Ecco, quando si è perso, seppur momentaneamente, il gusto per l'insegnamento, a noi docenti dovrebbe essere consentito un momento di distacco dalle classi per dedicarci a viaggi, letture, convegni, corsi di formazione che diano nuova linfa e motivazioni per affrontare anche i casi degli alunni più irritanti, quelli che, tuttavia, qualora vengano da noi conquistati, rimarranno nel nostro cuore per sempre.

giovedì 13 novembre 2014

Cantiere scuola



“L’Istituto “Galli” è la continuazione fisica del “Paleocapa”, un nome che suona familiare a tutti i docenti inseriti nelle graduatorie bergamasche. Nel cortile esterno ci sono i lavori in corso, ma la sala professori, dal retrogusto e dagli arredi antichi, è luminosissima e ariosa.”
Così descrisse il nostro Istituto Antonella Landi nel post “Non ci sono parole”  pubblicato il 3 maggio 2011 sul suo blog "Prendo appunti" (http://www.antonellalandi.com/blog/?m=201105&paged=3) dopo l'incontro con i nostri alunni dedicato al "Piacere della scrittura" avvenuto il 30 aprile 2011.
Dall'autunno del 2010 l'impatto con il "Galli" è sempre condizionato da quel cantiere che, inevitabilmente, colpisce il visitatore, non sempre favorevolmente. Non è bello vivere a contatto con un cantiere. Ancor meno lo è quando il cantiere, improvvisamente, si ferma e così, quello che sarebbe dovuto diventare un edificio più ampio e spazioso diventa un edificio incompleto, incompiuto, spiacevole alla vista. Ancor più diventa spiacevole quando, in una mattinata particolarmente ventosa, una parte della palizzata, ormai marcia, si abbatte sul vialetto d'ingresso. Non passava nessuno in quel momento, per fortuna. Ma un edificio pubblico e ancor di più una scuola non può affidare la sicurezza di coloro che lo frequentano alla fortuna.
Chi frequenta per motivi di studio e lavoro il "Galli" sa bene che dietro quell'ingresso squallido e accanto a quel cantiere abbandonato da qualche anno c'è gran fermento. C'è l'impegno e la passione di chi, quotidianamente, si ostina, nonostante le difficoltà, anche logistiche, a portare avanti un progetto educativo centrato sullo studente, su ogni studente, perché ciascuno possa scoprire le sue potenzialità, coltivarle, esprimerle.
Quell'impegno e quella passione sono state riconosciute anche dai certificatori del Marchio SAPERI, attribuito nel settembre scorso dopo la visita all'Istituto avvenuta il 7 aprile 2014. Probabilmente anche quei certificatori, inizialmente, avevano storto il naso davanti a quell'ingresso. Ma una volta entrati, proprio come era accaduto tre anni prima ad Antonella Landi, hanno avuto modo di cogliere gli aspetti non immediatamente visibili del lavoro che quotidianamente si svolge al "Galli", in cui l'attenzione allo studente e alle sue esigenze diventa primario. In quell'edificio dall'ingresso devastato vi sono laboratori annualmente rinnovati e che vengono utilizzati quotidianamente, non solo per le discipline meramente professionali; va sempre più diffondendosi la didattica laboratoriale, uno degli aspetti pregnanti della Riforma della scuola; è particolarmente curata l'attività di Alternanza Scuola - Lavoro ed emerge in modo significativo la progettualità, legata sia ai percorsi curriculari sia ai percorsi extracurriculari con laboratori pomeridiani (teatro, coaching, canto, ballo, concorsi proposti dal territorio e nazionali, etc.).
Certo, ci sono anche elementi di criticità che, inevitabilmente, in ogni situazione lavorativa, si presentano.

Ma gli aspetti positivi che caratterizzano quest'Istituto, la collaborazione tra dirigente, D.S.G.A e docenti, studenti, genitori, personale A.T.A. particolarmente motivati contribuiscono a far sì che, nonostante tutto, il "Galli" resista. Anche alle intemperie. Anche a chi ha voluto abbandonarlo.

mercoledì 24 settembre 2014

Lettera agli studenti.

Cari studenti,

chi vi scrive è un ex alunna di questa scuola, che ha preso il diploma due anni fa.
Scrivo per cosa? Per incitarvi, per farvi capire, perché sappiamo tutti che i professori non verranno ascoltati. Loro sono "vecchi", cosa ne sanno dei tempi moderni?
Oh, loro lo sanno eccome, e provano in ogni modo possibile ad avvertirci, ma le loro parole entrano da una parte ed escono dall'altra.
Non insegnano solo materie che a noi sembrano inutili, provano anche a farci capire come è il mondo una volta finita la scuola. Sappiate che non ci sarà un tappeto rosso steso per voi, non ci sarà un lavoro tutto per voi che vi aspetta. Triste e demoralizzante, penserete, ma purtroppo è così per tutti, a meno che non siate fortunati o abbiate qualche conoscenza.
E' importante quindi dedicarsi a questi anni, metterci tutto l'impegno possibile per ottenere qualcosa, non solo per la vita in generale, ma anche per se stessi. Lo dovete a voi stessi.
Io non sono mai stata bravissima in tutte le materie, non ero una "secchiona". Per i primi anni me la sono cavata, studiavo quel che bastava, uscivo coi miei amici e non mi interessavo minimamente alla scuola. Poi, improvvisamente, dentro di me è scattato qualcosa. Forse ascoltando i miei genitori che avrebbero voluto vivere i miei anni ho davvero capito che quello che stavo vivendo era importante, che dovevo concludere qualcosa di concreto per me stessa, per sentirmi realizzata.
Sfido chiunque a non avere una qualche passione, qualcosa che riusciamo a fare davvero bene e che vogliamo essere ancora più bravi a farla. Io credevo di non appassionarmi a nulla, di non avere nessun interesse specifico verso qualcosa. Sapevo di aver qualcosa da raccontare, sapevo che dovevo dire la mia, così d'un tratto trovai quel qualcosa che mi faceva star bene: la scrittura.
Mi sono appassionata, mi sono impegnata, ho iniziato a scrivere tutti i giorni (anche solo poche righe) e a coltivare questo interesse che avevo. Ho trovato così la mia strada, ho trovato così la mia persona. Questo lo devo grazie ai miei professori di italiano, sono loro che con la loro voglia di insegnare e la loro tenacia mi hanno spinta a migliorarmi, ad impegnarmi davvero in qualcosa.
Quello che state vivendo in questo momento poi non ve lo restituirà nessuno, soprattutto non ve lo darà il mondo che vi aspetta fuori. Lo ripeto: non ero una di quelle studentesse che studiava tutti i giorni, non lo sono mai stata. Ho semplicemente capito, grazie agli insegnanti e grazie ad esperienze a me accadute, che la vita è la mia, sono io che prendo le mie decisioni, sono io che scelgo il mio futuro. Tutti ne parlano e sembra che nessuno ci capisca davvero, ci sentiamo soli, a volte abbiamo anche paura a parlare. Non abbiate paura: reagite. Solo in questo modo potrete cavarvela, non stando seduti a lamentarsi perché la scuola è difficile, perché quel professore ce l'ha con te, perché non vedi l'ora di andartene da queste mura.
A me manca stare seduta tra quei banchi, a me manca ascoltare i professori, fare l'intervallo con i miei compagni, tornare a casa e raccontare a mia madre cosa ho fatto durante la mattinata. Mi piacerebbe essere ancora a scuola, perché probabilmente ora la affronterei in modo diverso da come l'ho fatto. Ed è per questo che sto scrivendo questa lettera: abbiate cura di voi stessi, studiate per il vostro futuro, impegnatevi per le vostre passioni e date il 100% per poter raggiungere i vostri obiettivi. Nulla è impossibile, con la giusta dose di tenacia e coraggio, tutti possono realizzare il proprio sogno. Non dovete farlo per i professori, non dovete farlo per i genitori, ma solo per voi stessi. Un giorno non dovrete svegliarvi con dei rimpianti. Siete giovani, siamo giovani, il mondo è nelle nostre mani e solo noi possiamo davvero cambiarlo. Abbiate la forza di reagire, di combattere per i vostri obiettivi. Ve lo sto dicendo per voi, perché io finalmente ho capito cosa voglio nella mia vita ed ora le mie scelte vertono su questa decisione. Non è troppo tardi per capire cosa si vuole. Vuoi diventare una scrittrice? Leggi molto, inizia a scrivere i tuoi pensieri e a farli leggere a qualcuno, saprà dirti dove sbagli e consigliarti per scrivere meglio.
Vuoi fare l'insegnante? Studia e impara tutto quello che puoi, per poter essere un giorno l'ispirazione di qualcuno.
Vuoi fare il calciatore? Vuoi fare l'automobilista? Vuoi fare il critico? Vuoi fare il pittore?
Impegnati, dedicati a questa passione, prendi le tue decisioni in base a quello che tu vuoi essere. Ce la puoi fare, stringi i denti e va avanti. Tutto questo serve a te.
E' il miglior consiglio che posso dare ad uno studente. Tutto ora ti sembra inutile, la matematica, l'economia, l'inglese... Un giorno, però, capirai che non lo è, che tutto questo serve per costruire qualcosa di stabile. Mettiti in gioco e non aver paura, anche se la vita lì  fuori è terribile non devi farti scoraggiare, perché se davvero vuoi una cosa allora devi fare tutto ciò che è in tuo possesso per ottenerla.
Mi raccomando, pensate a voi stessi, anche se è dura svegliarsi la mattina presto e prendere il pullman, anche se siete in ansia per la verifica o l'interrogazione. Queste cose, poi, vi mancheranno terribilmente. Non dovrete un giorno guardarvi indietro ed avere dei rimpianti. Io so che ce la potete fare, anche se non vi conosco personalmente.

In bocca al lupo.

venerdì 19 settembre 2014

Lentamente muore

"Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni

giorno gli stessi percorsi,

chi non cambia la marcia,

chi non rischia e cambia colore dei vestiti,

chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,

chi preferisce il nero su bianco

e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni,

proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che

fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore

davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,

chi è infelice sul lavoro,

chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno,

chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai

consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,

chi non legge,

chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia

aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o

della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,

chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non

risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere

vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto

di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una

splendida felicità."


" [...] Lentamente muore chi non capovolge il tavolo [...]"
Ricordo che qualche anno fa alcuni dei miei alunni erano rimasti particolarmente colpiti da questo verso tratto da "Lentamente muore". Avevamo imbastito in proposito una lunga discussione.
L'intera poesia era piaciuta molto. Una poesia attribuita, sul loro manuale scolastico, a Pablo Neruda.
Quando, successivamente, ho comunicato agli studenti che il testo della poesia non è stato scritto da Pablo Neruda ma da Martha Medeiros, " E' comunque bella!" hanno commentato alcuni mentre altri hanno sottolineato che:
a) anche i libri di testo possono contenere degli errori;
b) tutte le conoscenze possono essere messe in discussione;
c) "Lentamente muore [...] chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" / piuttosto che un insieme di emozioni [...]".
In queste situazioni gli studenti sono straordinari...

domenica 14 settembre 2014

Vinti e persi.

[...] "Oggi il mio pensiero va a tutti i 'vinti', a quelli che non ce l'hanno fatta, a quelli che stanno ancora cercando un buon motivo per andare avanti; questo mestiere ci fa incontrare tante giovani vite, nell'età più difficile; accompagnarle nel periodo in cui ci sono affidate è un grande privilegio e un grande impegno, riuscire a cogliere i loro segnali, le loro richieste di aiuto spesso non è facile ma provarci si può." [...]
Un vecchio post di Pandora20 mi ha riempito di malinconia e ha fatto pensare anche a me a "tutti i vinti", quelli che non ci sono più e quelli che stanno ancora fuggendo perdendosi nei mondi ovattati (o presunti tali) dell'alcol e delle droghe... Gli sguardi persi, vuoti, spenti, la paura che diventa aggressività verso gli altri e verso sè stessi, le belle menti (perchè, ammettiamolo, spesso sono le anime più nobili e più sensibili che finiscono per perdersi) che improvvisamente bruciano la loro creatività, la loro nobiltà, la loro intelligenza e non sono più loro, sono altri che, improvvisamente, ci ritroviamo davanti e non riconosciamo più.
Quanti ne ho incontrati, quanti ne incontrerò, provando ogni volta la stessa sensazione di impotenza, di incapacità di farmi ascoltare, di urlare "Ribellati! Usa la tua mente e vivi le sensazioni che ti attraversano la mente senza mediarle. Affronta le tue paure e condividile con chi ti è vicino e ti vuole bene, perchè c'è chi ti è vicino e ti vuole bene, anche se tu non te ne accorgi...".

‎(Rielaborazione di un vecchio post già pubblicato il ‎21 ‎novembre ‎2007 sulla piattaforma Splinder)

martedì 9 settembre 2014

"Vieni a vedere dove nasce il futuro"

"La scuola può svolgere appieno il suo compito se si presenta come una comunità accogliente
ed esperta, fondata su un patto educativo; una comunità che aiuta i giovani all'esercizio della cittadinanza attiva e responsabile, all'esperienza del metodo democratico, al rispetto della legalità, al valore della gratuità e del dono nelle relazioni personali, all'importanza del bene comune.
Però questi riferimenti etici non diventano prassi coerente se nella scuola manca un'anima, una comune ispirazione, una prospettiva, una passione che coinvolge allievi e docenti nel gusto della scoperta, della ricerca, nella costruzione del sapere, nella soddisfazione di creare qualcosa di nuovo, di proprio, di distintivo; qualcosa che dia significato alla propria storia, alle proprie scelte, ad un progetto di una società più giusta e solidale.
Se Martin Luther King disse "I have a dream" e non, invece, "Ho un piano quinquennale", evidentemente un motivo c'è: gli uomini hanno bisogno di condividere un sogno per dare il meglio di se stessi, devono poter immaginare in modo discontinuo ciò che potrebbe realizzarsi.
Oggi, in un mondo sempre più complesso e in continua trasformazione, l'immaginazione è il valore aggiunto per quanti vogliono creare qualcosa di nuovo sul piano culturale, formativo ed economico.
Per gli uomini e per le organizzazioni, il futuro appartiene a chi sa immaginarlo”
Tratto da “ISTITUTO PROFESSIONALE - LINEE GUIDA PER IL PASSAGGIO AL NUOVO ORDINAMENTO - Secondo biennio e quinto anno” (D.P.R. 15 marzo 2010, n.87, articolo 8, comma 6)
 

lunedì 1 settembre 2014

Buon anno!

Per chi lavora nella scuola, il vero Capodanno cade il 1° settembre: ci si incontra ed è un continuo augurarsi "Buon anno!" come tutte le altre persone usano fare il 1° gennaio e nei giorni immediatamente successivi. Viviamo scandendo il tempo usando gli anni scolastici e non gli anni solari. Rievochiamo eventi dicendo: "Mi ricordo, è accaduto nell'anno scolastico 1995/96, era giugno (o gennaio, forse) sicuramente era il periodo degli scrutini...".
Chi non lavora nella scuola ignora anche che per molti di noi insegnanti non esiste un vero periodo di vacanza. Non stacchiamo mai: terminato l'orario di lavoro (che non sono, e tengo a sottolinearlo, le sole 18 ore settimanali di lezione e le ore collegiali, caratterizzate da riunioni varie) torniamo a casa e non solo prepariamo le lezioni o correggiamo i compiti degli studenti, ma continuiamo a pensare a come potremmo catturare la loro curiosità proponendo un argomento piuttosto che un altro, la visione di un film, di un documentario o una visita in una particolare località. Durante le vacanze estive (che non durano, e sfatiamo un altro mito, tre mesi!), se ci capita di visitare un museo, un castello, una città, pensiamo subito "Questo potrei proporlo ai miei studenti di quinta (o di quarta, etc.)".
Il nostro mestiere ci prende a tal punto che tutta la nostra vita ne è completamente caratterizzata.
Certo, non per tutti gli insegnanti è così, ma per molti dei colleghi che ho avuto la fortuna di incontrare è proprio così.
(Rielaborazione di un vecchio post già pubblicato sulla piattaforma Splinder)

domenica 31 agosto 2014

I doveri dei genitori

"I doveri dei genitori sono di vario genere e comprendono tutti gli aspetti della vita del ragazzo e dell'uomo futuro. Dal latte materno al vitto, al vestire, all'esempio, ecc.. E fra l'altro, naturalmente, dare modo ai figli di guadagnarsi la vita. E siccome non si sa come andranno le cose e a cosa si vada incontro così occorre che queste possibilità siano più ampie e vaste possibili.
Quando a un ragazzo di 100 anni fa si insegnava a fare per esempio il fabbro, poi lavorava. Un babbo poteva morire sicuro di avergli lasciato qualcosa. Oggi con un mestiere in mano e basta non si vive più.
Bisogna anche saper vivere in tante altre circostanze: c'è da riempire fogli, consultare orari, telefonare e consultare l'elenco telefonico, far domande scritte e chiedere un anticipo o sollecitare un pagamento, c'è da prendere treni ecc. ecc.
Quando avete buttato nel mondo d'oggi un ragazzo senza istruzione avete buttato in cielo un passerotto senza ali.
Non si vola oggi con la terza e nemmeno con la quinta elementare.
Non ne hanno voglia? Fateli studiare per forza. Voi non li mandereste al lavoro senza il fagottino del mangiare e volete mandarli nella vita senza il fagottino del sapere?
C'è dei figlioli carogne che non vogliono mangiare e voi li forzate. Altrettanto fate per lo studio."
(Traccia di un discorso tenuto da don Lorenzo Milani ai genitori della parrocchia di San Donato a Calenzano il 22 agosto 1954 riportata in " Don Lorenzo Milani: "La parola fa eguali - il segreto della Scuola di Barbiana", a cura di Michele Gesualdi, fondazione Don Lorenzo Milani, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2005, pg.13)
 
Post già pubblicato sulla piattaforma Splinder il 24 marzo 2010

Per sempre

Giura che lo ama. Che resteranno insieme per sempre. Che da quando lo ha incontrato, la sua vita ha avuto, finalmente, un senso.
Hanno festeggiato il loro anniversario con un video pubblicato su un social network, affinché tutti sapessero dell'importanza del loro amore.
Ho sorriso e ho provato tenerezza e timore guardando quel video. Loro hanno 16 anni.
Io qualcuno in più di 50.
E ho imparato che gli amori giovanili spesso svaniscono, con la stessa immediatezza con cui sono nati.
(Rielaborazione di un vecchio post già pubblicato sulla piattaforma Splinder)

sabato 30 agosto 2014

Didattica e tecnologia

In attesa di conoscere le nuove Linee Guida proposte dal MIUR, mi chiedo se ci si sia posti il problema di adeguare gli attuali regolamenti allo sviluppo sempre più veloce delle tecnologie il cui uso a scuola potrebbe favorire il processo di insegnamento - apprendimento.
Il particolare, mi riferisco alla Circolare Ministeriale (vedi link in basso) relativa all'uso del telefono cellulare in classe.
"Laddove se ne ravvisi l’'opportunità, il regolamento di istituto potrà prevedere le misure organizzative più idonee atte a prevenire, durante le attività didattiche, il verificarsi del fenomeno di un utilizzo scorretto del telefonino." (Circolare Ministeriale del 15 Marzo 2007).
Nel testo si parla di uso improprio del cellulare, teso ad interrompere il regolare svolgimento delle lezioni sia da parte dei docenti che da parte degli studenti. Ma laddove il cellulare diventasse strumento di lavoro (come il tablet, del resto), non credo si possa parlare di violazione del Regolamento. Sarebbe però opportuno che il MIUR, onde evitare equivoci di sorta, aggiorni il Regolamento in proposito, anche perché piuttosto datato  e superato dalle recenti indicazioni operative legate alle nuove strategie didattiche. 

martedì 26 agosto 2014

Come una fenice.

Ho sempre creduto che le donne fossero sinonimo di forza e indipendenza, credevo davvero nei diritti difficilmente conquistati dal movimento femminista.
Poi sono caduta nella trappola dell'amore, che mi ha fatto amare un ragazzo tremendo. Mi ha soggiogata, mi ha fatto credere che fossi completamente fuori posto e sola, che qualsiasi cosa facessi o dicessi era sbagliata e io dovevo chiedere scusa. Ho subito sfuriate psicologiche, verbali...e a volte sul mio stesso corpo.
Ora, però, ho il coraggio di affrontare tutto ciò che mi è successo. Ora io sono donna, forte e indipendente, che vuole godere dei propri diritti e non vuole essere trattata come tappezzeria. Mai farsi abbindolare, chi si comporta così non è uomo: è bestia.
Non è amore, è ossessione. Bisogna avere il coraggio di reagire e rinascere, come la fenice rinasce dalle sue ceneri.
Siamo donne, non bambole.

lunedì 28 luglio 2014

Troppo intelligente per la scuola

Utilizzai questa espressione una ventina d'anni fa quando, per la prima volta, mi trovai alle prese con uno studente che non poteva che essere definito così: troppo intelligente per la scuola. Si annoiava profondamente e ogni giorno era sempre più difficile riuscire a tenere viva la sua attenzione. Arrivava alle conclusioni sempre prima degli altri, saltando passaggi che certi esercizi comunque richiedevano e che invece a lui non interessavano e a cui non aveva alcuna intenzione di prestare attenzione. Nel corso degli anni mi sono altre volte trovata a confrontarmi con studenti così, studenti a cui un vecchio modo di fare scuola tarpava le ali su cui la loro intelligenza volava. Del resto, quanti genitori si sono spesso sentiti dire dai docenti che il figlio "è capace ma non si applica"? L'istituzione scolastica, a partire dalla rivoluzione industriale, è da sempre stata pensata come luogo di trasmissione del sapere funzionale ad un sistema di conoscenze proprio della classe dominante. In una tale ottica, non c'è spazio per la creatività individuale e lo studente riconosciuto come migliore sarà necessariamente colui che meglio si adatterà a un sistema di conoscenze prestabilito. Altro che sviluppo delle capacità critiche: l'unico senso critico riconosciuto sarà quello già incondizionatamente accettato. Può succedere così che lo studente troppo intelligente che rifiuta di adattarsi a un sistema di pensiero, si ritrovi bocciato a scuola. Ma questo non significa che sarà bocciato nella vita. In fondo, non è un pezzo di carta a certificare quello che ciascuno di noi realmente sa fare o sa essere. È anche questo uno dei motivi per cui sono favorevole all'abolizione del valore legale del titolo di studio.

venerdì 25 luglio 2014

Invalsi, Riforma e proposte varie.

Probabilmente sarò in controtendenza rispetto a molti colleghi. A me, tuttavia, la Riforma della scuola, le prove Invalsi e le varie proposte di cambiamento che stanno interessando il mondo della scuola non dispiacciono affatto. Da sempre ritengo che i test Invalsi possano dare indicazioni per valutare l'efficacia dell'azione di insegnamento/apprendimento. Si badi bene: non devono essere considerate l'unico strumento ma uno degli strumenti, anche abbastanza oggettivo, di cui ci si avvale. Ugualmente, sono dell'idea che l'attività del docente debba essere valutata. Le modalità di tale valutazione possono essere diverse ma devono esserci. In tutti i sistemi organizzativi esiste una valutazione ed è su quella che, a mio avviso, ci si deve basare anche per stabilire i diversi criteri di carriera e retribuzione. Non mi dispiace affatto, per esempio, la proposta relativa alla carriera del personale docente avanzata dall'Associazione Nazionale Presidi (vedi link : http://www.anp.it/filemanager/download/documenti/anp_carrieradocenti.pdf). Sinceramente sono stanca di fronteggiare proposte sindacali che mirano a difendere l'indifendibile e a puntare sulla quantità piuttosto che sulla qualità; sono stanca, per esempio, di dover assistere a lezioni (o presunte tali) di colleghi che passano il tempo a leggersi il giornale in classe mentre gli studenti vengono abbandonati a guardare un film su cui poi non devono produrre nulla: nessuna discussione, nessuna riflessione né scritta né orale (e non entrerò nemmeno in merito sulla qualità delle proposte cinematografiche). La professionalità docente è sicuramente difficile da valutare ma che non lo si possa fare è una leggenda diffusa probabilmente da coloro che non hanno alcuna intenzione di essere valutati, almeno formalmente, visto che ciascuno di noi docenti viene quotidianamente valutato e rispettato (o meno) per ciò che fa.

venerdì 27 giugno 2014

Il senso degli Esami di Stato

Mi sono interrogata a lungo, in questi giorni, sul senso degli Esami di Stato. Tra momenti di panico dell'ultima ora evidenziati dagli studenti, vecchi rituali ormai desueti (il pacco con la candela e la ceralacca su tutti) che convivono con tecnologie più o meno avanzate (tracce d'esame che arrivano via web senza scomodare le forze dell'ordine), che piaccia o no, l'Esame di Stato rappresenta comunque per gli studenti che lo affrontano e tutti coloro che sono al loro fianco (docenti, familiari e amici) un momento significativo della loro esistenza. Forse il primo vero momento di prova, di iniziazione al mondo adulto. Ed è proprio questo il punto essenziale, a mio avviso. Molti degli studenti delle nuove generazioni arrivano ad affrontare questa prova assolutamente impreparati. Vissuti da sempre al riparo di ogni pericolo, cullati, coccolati, protetti, non sono stati abituati ad affrontare l'imprevisto, la novità, la prova, di qualunque tipo essa sia, da soli. Da sempre, al loro fianco. hanno avuto adulti che hanno steso tappeti di rose ai loro piedi perché essi, i pargoli, fossero protetti da ogni tipo di pericolo. Hanno affrontato il primo vero esame, nemmeno così selettivo, a 13 anni, alla fine della terza media. E già in quell'occasione molti di loro hanno vissuto con angoscia e panico l'idea di affrontare quella prova. E adesso, intorno ai 18, 19, a volte 20 anni, arriva la prova per eccellenza, il vecchio Esame di Maturità. C'è chi si è preparato con rigore e precisione, affrontando con serietà e costanza l'intero ciclo di studi. C'è chi per cinque anni (a volte qualcuno di più) ha vissuto allegramente, studiando quanto basta, o, a volte, molto meno, per superare l'anno scolastico. C'è chi ha cercato di studiare, sostenendo a fatica il peso dell'impegno, a volte con risultati poco entusiasmanti. Sono tutti qui, quelli che hanno superato la selezione dello scrutinio di ammissione. Alcuni non credono nemmeno nel miracolo di avercela fatta e così, per fede, continuano ad illudersi che pur non facendo nulla riusciranno ad ottenere l'agognato pezzo di carta, un 58 e due bei poderosi calci piazzati da parte della commissione che certificherà il loro 60/100 con buona pace di tutti. Ci sono coloro che, al contrario, e seppur a fatica, sperano di farcela così come hanno sempre fatto, tra incertezze e successi, affidandosi alla clemenza della corte, alla fortuna o anche ad uno studio matto e disperatissimo dell'ultim'ora. Ci saranno exploit inaspettati e cadute clamorose, rigorosamente legate alla capacità di dominare l'ansia, a prescindere dal grado di preparazione raggiunto. C'è chi, infine, come ha sempre fatto, continua a studiare con rigore, serietà e costanza, affidandosi alle competenze acquisite nel tempo e alla lucidità che consente di affrontare l'esame con qualche timore ma anche con consapevolezza del percorso svolto. Saranno costoro ad uscire vincitori dall'Esame di Stato: coloro che, azzerato l'intero percorso curricolare precedente, salvo i punti di credito acquisito nel triennio finale, saranno in grado di dimostrare, mediante le prove scritte ed orali dell'esame, che il punteggio accumulato corrispondeva effettivamente alla loro preparazione. E' forse questo il senso dell'Esame di Stato: dimostrare di essere diventati adulti poiché si è in grado di affrontare una prova con lucidità e rigore.

sabato 21 giugno 2014

Essere o apparire? Il nuovo dilemma.

La nuova moda dei social network è la frase: "Se metti mi piace ti dico quando sei bella/o da 1 a 10".
E' questo il vero problema che, oggi, affligge tutti quei ragazzi tra i 13 e i 19 anni: la bellezza e il numero di "like" alle loro foto, come se la loro intera esistenza si basasse su questo numero. Che se ne faranno, poi, di tutto questo? La bellezza prima o poi sparisce, l'essenza della persona rimane per tutta la vita.
I ragazzi utilizzano programmi per modificare foto, per diventare popolari, ma non sanno che usare in modo corretto un congiuntivo è meglio di avere un bel visino. Ad un colloquio di lavoro che diranno? "Io però sono bella/o!"? Non servirà a nulla. Purtroppo, però, non sarà nemmeno facile fare dell'essere di una persona la nuova moda, essendo il mondo il principale promulgatore dell'apparire.
Dovremmo stare qui a guardare e a lasciare che tutto questo faccia il suo corso, cercando di sperare che prima o poi passi.
Dal canto mio, ringrazio fortemente la scuola per il supporto che mi ha dato nel capire che l'apparire non è nulla senza l'essere. 

mercoledì 11 giugno 2014

La vita, tra finzione e realtà

Quante volte siamo invasi dalle preoccupazioni, dallo stress della vita quotidiana o dal continuo ripetersi delle giornate monotone?
Spesso. Troppo.
E in quanti siamo a cercare la pace interiore, la tranquillità e la spensieratezza guardando un film?
Uno qualsiasi, che ci porta via i pensieri, oppure uno che più ci sta al cuore e che ci riporta a quella condizione di pace antecedente.
Ci rifugiamo in quel contesto, ci lasciamo portati dai racconti, dimentichiamo e viviamo con intensità l’emozione del momento.
Ci piace guardare i film perché spesso viviamo quello che nella vita reale, condizionati dal giudizio della società, non potremmo mai vivere.
La vita non è un film, ma la possiamo rendere tale…

La dobbiamo cambiare al punto di non sentire più il bisogno vitale di abbandonarci in una realtà diversa.

lunedì 9 giugno 2014

La guerriera di Martina

In occasione dell'ultima verifica di italiano, ho chiesto agli studenti di scrivere un testo che si configurasse come un post da pubblicare su un blog il cui pubblico fosse di istruzione medio - alta. Ho assegnato loro una decina di argomenti, chiedendo inoltre di aggiungere un titolo al testo prodotto. Ho promesso loro che i migliori sarebbero stati pubblicati qui. Così, Martina, che aveva scelto l'argomento "Salviamoci la pelle", ha potuto pubblicare qui il suo testo. Presto anche altri studenti come lei avranno la sua stessa possibilità.

venerdì 6 giugno 2014

La mia guerriera? E' un uragano

Lei era forte! Tremendamente forte, aveva la forza di un uragano; era una guerriera, proprio il contrario di me.
Vedevo nei suoi occhi la voglia di combattere la malattia, di lottare per sopravvivere, vedevo il coraggio sconfiggere la paura; nulla poteva fermarla, né la nausea, né la fragilità, né la perdita dei capelli, né la sofferenza negli occhi dei suoi cari. 
Lei combatteva ogni giorno la dura battaglia con il sorriso sul volto, un volto pallido, stanco, smagrito, ma sempre e comunque bello, anzi fantastico.
Trovava il coraggio nei suoi cari, in me, nei suoi amici e, pur sapendo che sarebbe stata una lotta lunga e difficile, lei a testa alta tirava fuori gli artigli e proprio come un uragano stravolgeva tutto con quella sua potenza, quella voglia di sopravvivere, salvarsi la pelle e ridere. Lei aveva l'amore negli occhi e la sicurezza che quell'uragano che aveva dentro di sé avrebbe annientato la malattia.
Lei oggi sorride e ce l'ha fatta! Ha vinto! E io sarò sempre fiera di lei, perché lei è mia, è la mia guerriera.

sabato 24 maggio 2014

Compagno di scuola

Per molti della mia generazione "Compagno di scuola", tratta dall'album "Lilly" di Antonello Venditti e pubblicata nel 1975, è stata una delle canzoni di riferimento. C'era chi pensava con disprezzo al "compagno di scuola" evocato nella canzone, cui, tanti giuravano, mai avrebbero assomigliato. Sbagliavano, come spesso succede.
E molti di noi, attualmente, conoscono perfettamente quelli che davvero non sono diventati "compagni di scuola" e quelli che lo sono diventati ma non lo riconoscono e disprezzano gli altri, identici a loro.
 
 
Davanti alla scuola tanta gente
otto e venti, prima campana
"e spegni quella sigaretta"
e migliaia di gambe e di occhiali
di corsa sulle scale.
Le otto e mezza, tutti in piedi
il presidente, la croce e il professore
che ti legge sempre la stessa storia
nello stesso modo, sullo stesso libro, con le stesse parole

da quarant'anni di onesta professione.
Ma le domande non hanno mai avuto
una risposta chiara.
E la Divina Commedia, sempre più commedia
al punto che ancora oggi io non so
se Dante era un uomo libero, un fallito o un servo di partito


un servo di partito.
Ma Paolo e Francesca, quelli io me li ricordo bene
perché, ditemi, chi non si è mai innamorato
di quella del primo banco,
la più carina, la più cretina,
cretino tu, che rideva sempre
proprio quando il tuo amore aveva le stesse parole,
gli stessi respiri del libro che leggevi di nascosto
sotto il banco.
Mezzogiorno, tutto scompare,
"avanti! tutti al bar".
Dove Nietzsche e Marx si davano la mano
e parlavano insieme dell'ultima festa
e del vestito nuovo, buono, fatto apposta
e sempre di quella ragazza che filava tutti (meno che te)
e le assemblee, i cineforum, i dibattiti
mai concessi allora
e le fughe vigliacche davanti al cancello
e le botte nel cortile e nel corridoio,
primi vagiti di un '68
ancora lungo da venire e troppo breve, da dimenticare!
E il tuo impegno che cresceva sempre più forte in te...
"Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola, compagno per niente
ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?”


(Antonello Venditti: "Compagno di scuola" - 1975)


 

 
 
 
 
 
 
 
 

mercoledì 21 maggio 2014

"Una lezione alla scuola di Barbiana"

"Lezione ad un gruppo di ragazze della scuola media di Borgo S. Lorenzo salite a Barbiana nel Carnevale 1965
DON LORENZO
Ho sentito dire dall'Adele (nota: Adele, insegnante di lettere nella classe delle ragazze di Borgo S. Lorenzo e che nelle ore libere aiutava alla scuola di Barbiana) che voi vorreste in settimana ballonzolare a scuola. Un fatto simile mi ha talmente incuriosito che ho voluto seriamente discuterne insieme a voi, perchè o nel ballo c'è qualcosa di abbastanza utile alle bambine da poterlo fare nei luoghi sacri o è inutile, allora a scuola non si può fare.
La scuola è quel luogo dove si insegnano cose utili, quelle cose che il mondo non insegna, sennò non va bene.
Sicchè anche se il ballo è soltanto una cosa inutile, farlo a scuola è una cosa assolutamente indecente. Se il preside vi permette queste cose forse vede nel ballo qualcosa di utile, perchè una delle tre : o è utile, o è inutile, o è dannoso.
Se è inutile è immorale, se è dannoso è immorale e se è utile tocca a qualcuno dimostrarmelo.
Io son disposto ad ascoltare una documentazione seria e a cambiare idea da qui a un'ora, ma spero piuttosto che la cambierete voi! Io non sono in partenza deciso ad arrivare in fondo con la mia idea, a me interessa sapere qualcosa. Io sono un povero prete di montagna, queste cose non le so. Imparare fa sempre bene. [...]"
UNA RAGAZZINA
Ma se nel fare una cosa inutile non si fa male a nessuno, questo non è mica immorale?
DON LORENZO
[...] Se la vita è un bel dono di Dio non va buttata via e buttarla via è peccato. Se un'azione è inutile, è buttar via un bel dono di Dio. E' un peccato gravissimo, io lo chiamo bestemmia del tempo. E mi pare una cosa orribile perchè il tempo è poco, quando è passato non torna.
A me manca sempre e non so come a voi vi avanzi per buttarlo via. E vedo che anche ai miei ragazzi manca sempre. Noi facciamo scuola dalla mattina alla sera, lo sapete, compreso la domenica e l'estate e a ognuno di loro manca il tempo per leggere un libro; eppure avrebbero bisogno di leggere. Sicché non raccontiamo storie: alle persone normali il tempo manca, a quelle anormali invece avanza.
Se vi avanza il tempo siete anormali cari! Perché le persone normali che conosco io, sono alla disperata ricerca di un po' di tempo. Prendono un caffè la sera per stare svegli un'ora di più, si disperano perché non riescono a fare tutto quello che vorrebbero fare: leggere tutto quello che vorrebbero leggere, fare tutto il bene che vorrebbero fare, vedere certi importanti film che sarebbe il caso di vedere, compiere i doveri di tutti i giorni, campare la famiglia se uno ha da camparla, fare tutti gli studi di scuola se uno va a scuola. Insomma tutte le persone normali sono alla disperata ricerca di un po' di tempo di avanzo.
Le persone anormali invece hanno del tempo di avanzo e tentano di buttarlo via. [...]"
Il brano citato è tratto da "Una lezione alla scuola di Barbiana" (Don Lorenzo Milani: "Una lezione alla scuola di Barbiana", a cura di Michele Gesualdi, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2004, pgg.11-12,13).

Cose utili e inutili

Io ripartirei da qui. Dall'affermazione di Don Lorenzo Milani "La scuola è quel luogo dove si insegnano cose utili, quelle cose che il mondo non insegna, sennò non va bene." riportata in "Una lezione alla scuola di Barbiana" (Don Lorenzo Milani: "Una lezione alla scuola di Barbiana", a cura di Michele Gesualdi, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2004, pg.11).
E' indubbio che quelle che quarant'anni fa Don Milani riteneva "cose inutili" attualmente possano essere considerate utilissime, o viceversa.
In generale, riprendendo la citazione del priore di Barbiana, devono considerarsi cose utili "quelle cose che il mondo non insegna".
Attualmente sono tantissime le cose che il mondo non insegna: il rispetto per sè stessi e per gli altri, la passione, la curiosità vera, l'arte di saper aspettare, la bellezza, il sacrificio.
A scuola ci si può (anzi, a mio avviso si deve) dedicare al ballo, alla musica, al teatro etc., a patto che non lo si faccia seguendo mode e fenomeni culturali di basso profilo (che potrebbero al limite essere analizzati per la loro capacità di attrarre le masse).
La scuola che auspico è quella che dia a tutti la possibilità di crescere, di scoprire sè stessi e le proprie potenzialità, di formarsi come persona nel senso più completo del termine, imparando a non farsi schiacciare dalle mode, dalla massa che tutto omologa e appiattisce.
 
‎(Vecchio post, già pubblicato sulla piattaforma Splinder da Critolao il ‎17 ‎giugno ‎2008 ma oggi come allora attualissimo)

domenica 11 maggio 2014

Svogliati, distratti, annoiati. Proprio come noi!

Svogliati, distratti, annoiati: sono solo alcuni degli aggettivi usati per definire i nostri studenti. Continuiamo a riprenderli per la loro scarsa curiosità, per il disinteresse, il disamore verso la scuola.
E, spesso, non ci si rende conto che il disinteresse, il disamore, la noia, gliel'abbiamo trasmessa, gliela trasmettiamo noi adulti, quotidianamente.
Quanto amore c'è, quanta attenzione usiamo nella relazione con i più giovani? Ci lamentiamo di loro e non ci accorgiamo che essi potrebbero fare (e, a ragione, fanno) lo stesso con noi.
Non ci si può appassionare a nulla, non ci si può innamorare di nulla se non ci è stato insegnato l'amore per le attività che quotidianamente svolgiamo, l'amore per l'altro che quotidianamente incontriamo.
L'indifferenza insegna l'indifferenza. Un adulto disinnamorato di ciò che fa non potrà che avere di fronte un giovane disinnamorato di ciò che fa.
Dipende da noi adulti: genitori, docenti, educatori hanno una grossa responsabilità. Il futuro da trasmettere alle nuove generazioni è nelle mani degli educatori, di ciascun educatore.

venerdì 9 maggio 2014

Post d'autore (Giulia Castelli)

 

 
Da oggi Sala Docenti vanta tra i suoi redattori una giovane scrittrice, Giulia Castelli, che ha già pubblicato due romanzi. Per ora Giulia non ha ancora comunicato il suo nickname.
Nel darle il benvenuto a nome di tutta la redazione, ne approfitto per pubblicare le copertine dei sue due romanzi.
 
   
 

mercoledì 7 maggio 2014

Ipazia

Non poteva che chiamarsi Ipazia la nostra nuova collaboratrice!
Sala Docenti si aggiorna, aprendosi a nuove collaborazioni e rinnovando la sua redazione.
Benvenuta, Ipazia!

sabato 3 maggio 2014

Docenti 2.0

"A cosa serve?" si chiedono molti studenti, sempre più demotivati, a proposito della scuola.
Ma se è vero, come è vero e come afferma Andrea Bajani nell'articolo e nel saggio "La scuola non serve a niente"(vedi link:
http://www.repubblica.it/cultura/2014/05/03/news/ilibra_laterza_repubblica_bajani-85069992/?ref=fbpr ), che l'idea di scuola deve uscire da una logica utilitaristica tipica del modello capitalistico, è altrettanto vero che il modo di fare e di intendere la scuola, legato all'origine della rivoluzione industriale e all'idea di azienda in cui tutti sono inquadrati all'interno di una struttura rigida come può essere quello di un'azienda della società pre-informatizzata, non è più adeguato alla società digitalizzata e globalizzata 2.0 qual è quella in cui, che ci piaccia o no, viviamo.
La scuola, il cui compito è quello di diffondere cultura sviluppando lo spirito critico di ciascuno di noi, deve perciò adeguarsi, per non morire. Questo non significa che debba piegarsi a logiche tese a renderla luogo di aggregazione e divertimento, come, ahimè, negli ultimi decenni qualcuno ha cercato di fare, ma significa che deve aggiornarsi utilizzando strumenti e tecnologie sempre più evolute che la mettano al passo coi tempi.
Questo significa anche che la classe docente deve essere pronta ad affrontare il continuo cambiamento tipico dell'attuale società in cui viviamo.
Per farlo è necessario che chi insegna o aspira a farlo esca dall'ottica che considera l'insegnante un mero impiegato o un burocrate alle prese con carte, moduli  e documenti da compilare "nello stesso modo, [...], con le stesse parole, da quarant'anni di onesta professione" (Antonello Venditti: "Compagno di scuola", 1975).
L'insegnante è e deve essere considerato (anche economicamente) un professionista che accompagna lo studente nel suo processo di crescita, di sviluppo, che collabora con lui e lo aiuta a tirare fuori (educare deriva dal latino ex-ducere, "tirare fuori") tutte le sue potenzialità, in un processo di apprendimento che inizia nelle aule scolastiche e che deve durare tutta la vita. Perché accada è necessario che chi insegna lo faccia con passione, quella che serve per sentirsi coinvolto e che porta a pensare che non sia un sacrificio iscriversi e seguire corsi on-line sulla piattaforma eTwinning  di INDIRE ma sia anzi un'ottima opportunità per diventare un docente 2.0.

martedì 29 aprile 2014

Ignoranza e/o razzismo (vecchio post)

E' turbata. E ne ha ben donde. Le hanno appena detto che il velo che indossa crea qualche problema per l'inserimento in azienda previsto durante il periodo di stage.
"E' un paese di ignoranti e razzisti, questo!" si sfoga. E poi subito aggiunge: "Non tutti, profe, non tutti!" mentre i suoi compagni le esprimono contemporaneamente solidarietà ed indignazione.
Ne parliamo in classe. A scuola, nella nostra scuola, non esistono distinzioni. E a lei, dice, non era mai capitato di sentirsi così umiliata, così fuori posto.
Le dico che a scuola sono banditi il razzismo e l'ignoranza che lo genera, ma in giro, purtroppo, esistono ancora, non da parte di tutti, come lei ha correttamente sottolineato, atteggiamenti di razzismo, più o meno acclamati, che non sono altro che il frutto del pregiudizio e della non conoscenza. L'ignoranza, appunto.
(Rielaborazione di un post già pubblicato su altra piattaforma il 19 febbraio 2010)

Parliamo?


Adorano parlare, i miei studenti.
E non lo fanno, come affermano i colleghi più maligni, per perdere tempo ed evitare di far lezione o un'interrogazione.
Sono pieni di dubbi e vogliono capire: il senso della vita, dell'amicizia, dell'amore...
"Perché?" chiedono spesso, sperando che io possa dar loro la risposta giusta.
E io, di fronte alle loro domande che io stessa mi pongo e che da sempre l'essere umano si pone, non posso fare altro che ascoltare e lasciarli parlare. Confrontandosi, parlando, hanno l'occasione di scoprire che l'ansia, l'angoscia, i dubbi che ciascuno di loro prova sono gli stessi che ciascuno di noi ha provato e prova.
Ecco perché parlarne ci fa bene.
(Già pubblicato con altro account su altro blog e su altra piattaforma il 16 marzo 2009)

domenica 27 aprile 2014

Colloqui di lavoro: vecchi appunti di un selezionatore


Negli anni in cui mi sono occupata di attività di orientamento in uscita, mi è capitato spesso di assistere alle iniziative svolte da operatori esterni rivolte agli alunni delle classi quarte e quinte degli istituti superiori.
Ma chi effettua i colloqui di selezione, al di là di quello che viene pubblicamente dichiarato, cosa si aspetta dai candidati? L'ho spesso chiesto ai miei conoscenti che operano in ambiti lavorativi diversi da quello scolastico. In particolare, alcuni anni fa uno di loro mi fornì le sue considerazioni nel testo che pubblico di seguito e che credo siano attualmente valide.
"E’ la mattina di un caldo mercoledì di luglio ed insieme alla mia collega, che si occupa di selezione del personale, ci avviamo nella sala riunioni dove da lì a poco inizieremo una serie di colloqui assunzionali con neolaureati in materie tecnico/scientifiche.
I colloqui si susseguono e di fronte a me vedo passare persone di vario tipo ognuna delle quali ha un comportamento diverso durante la chiacchierata; chi ti guarda dritto in faccia comunicandoti di essere la persona giusta, chi muove nervosamente le mani pensando se riuscirà a rispondere alla prossima domanda, chi tormenta i fogli che ha davanti nella speranza che il colloquio finisca il prima possibile e così via.
Alla fine della giornata sono sfinito e mentre in macchina ritorno a casa ripenso a quali sensazioni ho provato durante tutti i colloqui e cerco di riordinare le idee che man mano mi si sono accumulate in mente.
Provo a sintetizzare per concetti chiave:
Lauree triennali: la laurea triennale viene conseguita ad una età oscillante tra i 21 ed i 22 anni, quindi ci si trova dinnanzi a delle persone con una esperienza minimamente accresciuta rispetto ad un diplomato, ma con le aspettative di un laureato visto che gli si inculca il concetto che loro si sono “laureati”.
Frammentazione degli esami: nel riformare il sistema universitario si è pensato di suddividere i corsi di durata annuale (ad esempio analisi matematica 1, fisica, etc.) in una serie di sottocorsi di durata mensile o bimestrale e coincidenti con singoli argomenti del vecchio corso. Ciò che verifico, come risultato di tale nuova modalità di studio, è che le persone non sono più abituate ad affrontare un problema grande (ad esempio esame complesso), ma sperano sempre di avere di fronte dei singoli sottoproblemi da affrontare singolarmente."

Colleghe


In principio si guardavano con diffidenza. Apparentemente diverse l'una dall'altra, sembrava non avessero alcunché in comune.
Poi furono assegnate allo stesso consiglio di classe, formato prevalentemente da colleghi maschi. C'erano momenti in cui, durante le riunioni, si respirava un clima da caserma. Battutacce volgari, spesso maschiliste, con cui venivano educati anche gli studenti, tutti rigorosamente appartenenti al "sesso forte".
Ma loro non si facevano certo intimidire, tutt'altro. Cominciarono a scoprirsi così e iniziarono a lavorare insieme, prima sporadicamente poi sempre più sistematicamente. Scoprirono di essere molto più simili di quanto non avessero creduto l'una dell'altra: avevano in comune l'amore per questo meraviglioso mestiere.
"I care" scrivevano entrambe alla lavagna, anche se solo una di loro insegnava inglese.
Entrambe sognavano i loro studenti ("C'è chi insegna [...] sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.").

Fu questo che le avvicinò.
Ma l'amicizia nacque quando insieme affrontarono l'esperienza del dolore, e fu quello che le unì per sempre. Anche perdendosi di vista, sapevano che la sofferenza e l'angoscia provata di fronte alla morte e alla constatazione di un fallimento educativo le avevano unite per sempre.