domenica 24 febbraio 2013

La prima volta

Ricordo perfettamente la prima volta che ho votato. Era l'8 giugno del 1980 e si votava per le elezioni regionali.
Mi recai al seggio senza aspettare che venissero anche i miei, abituati a votare solitamente nel tardo pomeriggio o in tarda serata, la domenica, poco prima della chiusura del seggio.
Non potevo aspettare: era tanta l'ansia e la responsabilità di esercitare la mia sovranità garantitami dalla Costituzione Italiana e finalmente potevo farlo.
Alle 9.00 del mattino avevo già votato.
Nel primo pomeriggio, ricordo ancora, mi recai presso il seggio elettorale dove il ragazzo con cui avevo all'epoca una relazione era stato assegnato come scrutatore. Tra le 14.00 e le 16.30, lì, nessuno degli elettori si presentò. Solo intorno alle 16.30 qualcuno cominciò a farsi vivo per usufruire del suo diritto di cittadino.
Ieri, parlando con una delle mie alunne, con piacere ho colto la stessa ansia di partecipazione che io, da sempre, ho e rivendico.
Troppo comodo lamentarsi e poi rifiutare di scegliere, anche sbagliando o anche, paradossalmente, turandosi il naso, come Montanelli, nel '76, aveva consigliato di fare.
Ce l'ha insegnato Gaber: "La libertà è partecipazione".

mercoledì 13 febbraio 2013

"Se tutti gli sfigati... gli sfigati del mondo..."


"Profe," mi dice ad un tratto uno studente "io sono uno "sfigato!".
Sollevo lo sguardo dalle mie carte e lo guardo negli occhi. E' seduto al primo banco, il suo banco fin dal primo giorno di scuola. E' uno studente di prima, attento, volenteroso, partecipe. Almeno con noi docenti.
Non mi sembra però che abbia legato molto con i compagni.
Durante la ricreazione resta spesso in classe con l'insegnante, non esce dall'aula, come fa invece la maggior parte dei suoi compagni.
E' stato proprio durante l'intervallo che, mentre eravamo rimasti in aula da soli, mi ha detto così: "Profe, sono uno sfigato!"
Gli ho chiesto perchè ritenesse di esserlo.
Ha cominciato a spiegarmi che sono i suoi compagni a definirlo così: lui continua a fare la vita di sempre, quella che conduceva alle scuole medie.
Studia, fa i compiti, esce con i suoi amici d'infanzia. Non fuma, non beve il sabato sera, non prende pasticche o cocaina, non va in discoteca.
"Capisce, profe? Sono proprio uno sfigato!".
L'insegnante di italiano che è in me vorrebbe dirgli di adoperare un registro linguistico più formale. Ma non è una situazione formale, questa.
E' il grido di aiuto di chi, mentre sta crescendo, si trova a non accontentarsi più di essere accettato dagli adulti. Ha bisogno dell'accettazione del gruppo dei pari. Di cui, tuttavia, non condivide i valori.
"Sai," gli dico "anch'io sono stata una "sfigata", anche se all'epoca non ci definivano così".
Gli dico che ne conosco e ne ho conosciuti tantissimi di sfigati come lui, che spesso preferiscono nascondersi o adeguarsi a modelli che non condividono. Ma forse sarebbe meglio che tutti gli "sfigati" del mondo si unissero e si opponessero al conformismo di chi definisce gli altri "sfigati" per non ammettere la propria fragilità, la propria debolezza, il proprio senso di inadeguatezza.
(Rielaborazione di un vecchio post pubblicato sul blog "La panchina in cima al monte" - piattaforma Splinder - il 14 novembre 2008)