mercoledì 28 novembre 2012

"Cose che non si possono raccontare"

A Taranto, come recita la mia carta d'identità, ci sono nata.
Vi ho vissuto poco, per fortuna, portata via già a due mesi in Liguria e poi tornata, durante l'adolescenza, in Puglia, sì, ma in quella Brindisi che attualmente sente come una forzatura, a ragione, l'accorpamento alla provincia di Taranto.
A Taranto, da bambina, tornavo d'estate e, da un po' di anni, a volte, solo d'inverno, un paio di giorni, in occasione delle vacanze natalizie.
Non l'ho mai amata. Mai. Ho sempre respirato a fatica la sua aria infetta, pesante, che lasciava, lo ricordo bene, un tappeto di polvere nera sul balcone della casa di mia nonna, dove sono nata e dove trascorrevo, a volte, le mie vacanze estive.
Erano gli anni '60 - '70.
Nel frattempo l'aria diventava sempre più irrespirabile. Un numero sempre maggiore di residenti (anche tra i miei parenti) si ammalava. Moriva.
Ma Taranto accettava. L'Italsider (come molti continuano a chiamare l'attuale Ilva) dava lavoro ai tarantini della città e della provincia. Di fronte al lavoro si chiudeva un occhio. Anche due. Si ricorreva all'amico sindacalista, al parroco, a chi poteva garantire un'assunzione. Il sistema clientelare si autoalimentava creando l'illusione del benessere.
Certo, molti degli attuali lavoratori Ilva sono anche capaci e sono stati assunti per merito. Ma anche no.
Se avessi la possibilità, stringerei la mano personalmente e applaudirei platealmente Patrizia Todisco, il magistrato che, finalmente, dopo cinquant'anni, ha sollevato il caso Ilva. Intanto colgo l'occasione per ringraziarla. Qui. Pubblicamente.
Forse tutto tornerà come prima. Ma intanto si è cominciato a parlare di ciò che, almeno a Taranto, tutti sanno ma nessuno ha voglia di raccontare e raccontarsi.
Perché certe cose non si possono (e/o non si vogliono) raccontare.

sabato 17 novembre 2012

"Come in amore" riveduto e aggiornato

Nel suo articolo pubblicato il 10 settembre 2011  sulle pagine fiorentine del "Corriere della Sera" dedicate a "I quaderni della Profe", la sua rubrica settimanale, Antonella Landi ha scritto: "A scuola è come in amore: bisogna essere in due a voler far funzionare il giochino.".
Altrimenti, ho aggiunto io, proprio stamani, dopo una delle più memorabili sfuriate che mi sia capitato di fare agli studenti, diventa masturbazione. Masturbazione intellettuale, ma sempre masturbazione è.

domenica 4 novembre 2012

Sogno...


 
Sogno una scuola in cui, entrando, ci si sorrida e ci si senta fieri di esserci.
Sogno una scuola in cui non si debbano, ogni volta, ricordare le regole di buona educazione.
Sogno una scuola in cui gli studenti abbiano voglia di apprendere e i docenti abbiano voglia di insegnare.
Sogno una scuola in cui ci si senta parte del tutto e in cui non si tema di comunicare, non si tema di essere equivocati esprimendo il proprio parere, in cui tutti si possa crescere rispettandosi reciprocamente.
Sogno una scuola libera da pregiudizi, secondo cui tutti i docenti sono dei fannulloni; gli studenti dei fannulloni maleducati e arroganti sostenuti da famiglie assenti o fin troppo presenti che pretendono di entrare nel merito della professionalità docente; i dirigenti amministratori tesi a garantire solo l'aumento del numero degli iscritti e pertanto pronti a schierarsi sempre e solo dalla parte degli utenti ovvero gli studenti e le loro famiglie.
La scuola che sogno è quella in cui sono, quella in cui credo, quella per cui io e molti altri, studenti, genitori, docenti e dirigenti cercano di dare il massimo nonostante le difficoltà e i pregiudizi; quella che si nutre dell'impegno comune e del rispetto reciproco; che non è perfetta ma che è animata dalla volontà di migliorarsi.
 
(Già pubblicato sulla piattaforma Splinder l'11 dicembre 2009)

Il secondo sesso

"[...] La donna è sempre stata, se non la schiava, la suddita dell'uomo; i due sessi non si sono mai divisi il mondo in parti uguali e ancora oggi, nonostante la sua condizione stia evolvendosi, la donna è grandemente handicappata. Si può dire che in nessun paese l'uomo e la donna hanno una condizione legale paritetica e spesso la differenza va a duro svantaggio della donna. Anche se astrattamente le sono riconosciuti dei diritti, una lunga abitudine impedisce che essi trovino nel costume la loro espressione concreta. [...] Oltre la forza concreta, posseggono un prestigio del quale l'educazione dell'infanzia tramanda la tradizione: il presente assorbe il passato, e nel passato la storia è stata fatta dai maschi. Nel momento in cui le donne cominciano a prender parte all'elaborarsi dei fatti umani nel mondo, si trovano davanti a un mondo che appartiene ancora agli uomini; i quali non mettono in dubbio i propri diritti, mentre le donne incominciano appena a farlo."
Tratto da: Simone de Beauvoir: "Il secondo sesso", Traduzione di Roberto Cantini e Mario Andreose, Il Saggiatore, 1994, Pgg. 18 -20. (Prima edizione in lingua originale: Gallimard, Paris, 1949)
(Già pubblicato sulla piattaforma Splinder giovedì 1 luglio 2010)