mercoledì 31 ottobre 2012

La strega e l'emarginazione della donna nella modernità: un laboratorio di storia locale.


SVOLGIMENTO ELABORATO PIATTAFORMA ON-LINE PER DOCENTI NEO-IMMESSI IN RUOLO (A.S. 2005/2006)

Suor Maria Valenza Marchionne, nata in una famiglia di contadini a Sezze Romano nel 1630, cresciuta in un contesto di religiosità popolare fortemente caratterizzata dal francescanesimo, divenuta badessa del monastero delle Clarisse di Santa Chiara di Sezze intorno al 1670, venne condannata nel 1703 dal Tribunale dell’Inquisizione romana a dieci anni di carcere per quietismo depravato.

Le accuse che avevano portato al processo erano turpi e infamanti: suor Maria era accusata di vanagloria e di pretesa di santità paravento di lussuria, falsità e di sete di potere.

La ricostruzione della biografia della protagonista, effettuata strategicamente dai contemporanei, tesa a screditare la donna francescana che aveva osato diventare, da umile popolana, badessa del convento del suo luogo di origine, si inserisce all’interno delle lotte religiose e di potere, caratteristiche del XVII secolo, che coinvolsero numerose vittime innocenti, in particolare donne, accusate o di quietismo depravato o di stregoneria.

Dopo il Concilio di Trento (1545 – 1563) la Chiesa fu animata da un profondo spirito di rinnovamento e, per altro verso, caratterizzata da una sistematica repressione del dissenso. Queste due istanze si espressero l’una attraverso un profondo anelito spirituale che investì la vita quotidiana, l’altra mediante una persecuzione metodica e organizzata della stregoneria.

A livello popolare, l’anelito spirituale si tradusse spesso nell’interesse spasmodico per il miracolo e il soprannaturale in genere.

La Chiesa della Controriforma seppe gestire abilmente questi bisogni popolari e alimentò la fede nei miracoli.

L’anelito più profondo e sincero alla santità fu espresso soprattutto da figure come Teresa d’Avila, monaca carmelitana e scrittrice instancabile. Nei suoi scritti ella affrontò il tema del rapimento, dell’estasi derivante dall’unione amorosa col Cristo, ma anche il senso di angoscia e disagio che la diversità della santità mistica comporta.

La necessità, da parte della Chiesa, di disciplinare l’anima e di evitarle di perdersi del nulla, comportava il controllo esercitato mediante i “tribunali della coscienza” cui erano sottoposti tutti coloro accusati di essersi allontanati dalle indicazioni dei trattati di spiritualità ufficialmente riconosciuti. Costoro, per lo più donne, venivano accusati di quietismo. Attraverso il racconto delle vicende “nefande” di cui si erano resi protagonisti, diffuso all’interno della comunità locale particolarmente sensibile a riconoscersi unita coalizzandosi contro l’altro, il diverso, costoro diventavano il capro espiatorio su cui riversare le proprie paure, i propri incubi, i propri sensi di colpa, i propri peccati.

 Lo stesso accadde a coloro, nella maggior parte donne, che vennero accusati di stregoneria.

Il Tribunale dell’Inquisizione di Milano, ad esempio, nel periodo che va dal giugno 1603 al giugno 1611, condannò al rogo Vetra Isabella Arienti, detta la Fabene, Gabbana la Montina, Vetra Doralice de’ Volpi e Vetra Antonia de’ Santini.

 I primi provvedimenti contro le streghe si collocano all’interno del più ampio fenomeno volto alla repressione delle eresie e risalgono alla prima metà del XII secolo.

La caccia alle streghe continuò a svilupparsi durante tutto il Medioevo, ma raggiunse proporzioni notevoli tra il XVI e il XVII secolo, nel clima di intransigenza religiosa, diffuso non solo sul fronte cattolico ma anche nei Paesi  protestanti, a seguito della Riforma protestante, della Riforma e della Controriforma cattolica, per poi esaurirsi nel corso del XVIII secolo.

Una vera e propria organizzazione della persecuzione della stregoneria e di ogni “diversità” religiosa e non, trovò il suo riferimento teorico dapprima nella bolla papale Summis desiderantes, che convalidava la credenza nelle streghe e nel potere stregonesco, e successivamente nel Malleus maleficarum.

Secondo il Malleus Maleficarum, scritto nel 1486 da Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, due inquisitori tedeschi domenicani particolarmente attivi nella valle del Reno,  “una donna malvagia è per sua natura più pronta a ripudiare la fede, il che è la radice della stregoneria”.

E’ emblematico il fatto che l’oggetto della persecuzione fosse perlopiù la donna, definita o infida e perversa per natura, oppure fragile creatura in balia delle arti del demonio.


La strega del XVII secolo era prevalentemente una povera vecchia, spesso senza marito, dal comportamento antisociale, antifemminile, immorale, e religiosamente arretrata. Sfidando insieme le convenzioni della sua religione e del suo sesso, riusciva a offendere e spaventare i suoi superiori e chi le stava vicino. La decisione di perseguitarla e giustiziarla può essere interpretata semplicemente come un tentativo di liberare le comunità locali da figure sentite come inquietanti e pericolose. Con l’uccisione delle streghe gli abitanti del villaggio riuscivano anche a vendicarsi dei malefici che avevano colpito loro e i loro cari, confermando nel contempo che la fonte delle loro disgrazie era stata effettivamente la stregoneria.


Il bisogno d’ordine è ovviamente una costante della natura umana, e ogni epoca si è indubbiamente impegnata per soddisfarlo. Ma nel XVII secolo esso era oggetto di particolare preoccupazione, soprattutto a causa della diffusa consapevolezza che l’antico ordine fosse crollato.


All’interno della sua comunità la strega rappresentava una continua provocazione all’ideale della società ben ordinata. Innanzitutto, era generalmente al di fuori del sistema di controllo patriarcale, e perciò costituiva una sfida a quanto veniva considerato una gerarchia naturale. Era l’antitesi dell’ideale della moglie perfetta, punto centrale della maggior parte delle concezioni di una società ben organizzata. Nei rapporti con i suoi superiori si dimostrava insolente e arrogante.


Non deve quindi meravigliare che spesso ci si riferisse a questa donna come a una ribelle. Naturalmente non corrispondeva affatto allo stereotipo del ribelle. Vecchia, e talvolta decrepita, sarebbe stata la persona meno adatta a organizzare un assalto concreto contro l’ordine costituito.

Gran parte di questi discorsi sulla ribellione erano puramente retorici e rispecchiavano le paure e le insicurezze di una posizione maschile minacciata più che i timori per le attività della strega stessa.

Le streghe furono i classici capri espiatori, vittime delle nevrosi dell’élite dominante e della miseria delle classi popolari.


Come sovversiva e come capro espiatorio, la strega ha continuato ad esistere, molto dopo la fine della caccia alle streghe e quando nessuno più credeva in loro. Molte volte nella storia moderna, quando l’animo umano è stato preda di profondo timore, le autorità hanno identificato all’interno di gruppi devianti o marginali l’origine dei loro problemi: li hanno accusati di crimini non commessi; hanno attribuito loro l’ambizione di distruggere l’ordine morale e politico; e hanno fatto tutto quanto era in loro potere per annientarli. L’ebreo nella Germania nazista o il comunista in America dopo la seconda guerra mondiale, hanno assunto il ruolo, e in molti casi condiviso la sorte, della strega del XVII secolo.


Ma la strega non è stata semplicemente solo capro espiatorio e vittima.

Essa incarnò talvolta quello “spirito di rivolta” che la portò a unirsi alla protesta contro la politica delle élites al potere e contro la prassi in uso nei tribunali del XVII secolo.

In qualche caso, sorretta dalla volontà di affermare la propria innocenza, sopportò coraggiosamente le atroci torture cui venne sottoposta e riuscì a sopravvivere. Nella grande maggioranza dei casi fu giustiziata o bandita.

La sua morte o l’esilio rappresentano una tragedia orribile, l’esito di uno dei più grandi errori giudiziari nella storia dell’Occidente. Ripensando alla sua sfida contro le autorità che la perseguivano, agli sforzi per sopportare le torture che le venivano inflitte, all’insistenza con cui negava ogni sua colpa, non si può non provare per lei ammirazione e allo stesso tempo pietà.

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