SVOLGIMENTO ELABORATO PIATTAFORMA ON-LINE PER DOCENTI NEO-IMMESSI IN RUOLO (A.S. 2005/2006)
Suor Maria Valenza Marchionne, nata in
una famiglia di contadini a Sezze Romano nel 1630, cresciuta in un contesto di
religiosità popolare fortemente caratterizzata dal francescanesimo, divenuta
badessa del monastero delle Clarisse di Santa Chiara di Sezze intorno al 1670,
venne condannata nel 1703 dal Tribunale dell’Inquisizione romana a dieci anni
di carcere per quietismo depravato.
Le accuse che avevano portato al
processo erano turpi e infamanti: suor Maria era accusata di vanagloria e di
pretesa di santità paravento di lussuria, falsità e di sete di potere.
La ricostruzione della biografia della
protagonista, effettuata strategicamente dai contemporanei, tesa a screditare
la donna francescana che aveva osato diventare, da umile popolana, badessa del
convento del suo luogo di origine, si inserisce all’interno delle lotte
religiose e di potere, caratteristiche del XVII secolo, che coinvolsero
numerose vittime innocenti, in particolare donne, accusate o di quietismo
depravato o di stregoneria.
Dopo il Concilio di Trento (1545 – 1563)
la Chiesa fu
animata da un profondo spirito di rinnovamento e, per altro verso,
caratterizzata da una sistematica repressione del dissenso. Queste due istanze si
espressero l’una attraverso un profondo anelito spirituale che investì la vita
quotidiana, l’altra mediante una persecuzione metodica e organizzata della
stregoneria.
A livello popolare, l’anelito spirituale
si tradusse spesso nell’interesse spasmodico per il miracolo e il
soprannaturale in genere.
L’anelito più profondo e sincero alla
santità fu espresso soprattutto da figure come Teresa d’Avila, monaca
carmelitana e scrittrice instancabile. Nei suoi scritti ella affrontò il tema
del rapimento, dell’estasi derivante dall’unione amorosa col Cristo, ma anche
il senso di angoscia e disagio che la diversità della santità mistica comporta.
La necessità, da parte della Chiesa, di
disciplinare l’anima e di evitarle di perdersi del nulla, comportava il
controllo esercitato mediante i “tribunali della coscienza” cui erano
sottoposti tutti coloro accusati di essersi allontanati dalle indicazioni dei
trattati di spiritualità ufficialmente riconosciuti. Costoro, per lo più donne,
venivano accusati di quietismo. Attraverso il racconto delle vicende “nefande”
di cui si erano resi protagonisti, diffuso all’interno della comunità locale
particolarmente sensibile a riconoscersi unita coalizzandosi contro l’altro, il
diverso, costoro diventavano il capro espiatorio su cui riversare le proprie
paure, i propri incubi, i propri sensi di colpa, i propri peccati.
Il Tribunale dell’Inquisizione di
Milano, ad esempio, nel periodo che va dal giugno 1603 al giugno 1611, condannò
al rogo Vetra Isabella Arienti, detta la Fabene , Gabbana la Montina , Vetra Doralice
de’ Volpi e Vetra Antonia de’ Santini.
La caccia alle streghe continuò a svilupparsi
durante tutto il Medioevo, ma raggiunse proporzioni notevoli tra il XVI e il
XVII secolo, nel clima di intransigenza religiosa, diffuso non solo sul fronte
cattolico ma anche nei Paesi
protestanti, a seguito della Riforma protestante, della Riforma e della
Controriforma cattolica, per poi esaurirsi nel corso del XVIII secolo.
Una vera e propria organizzazione della
persecuzione della stregoneria e di ogni “diversità” religiosa e non, trovò il
suo riferimento teorico dapprima nella bolla papale Summis desiderantes, che convalidava la credenza nelle streghe e
nel potere stregonesco, e successivamente nel Malleus maleficarum.
Secondo il Malleus Maleficarum, scritto nel 1486 da Heinrich Kramer e Jacob
Sprenger, due inquisitori tedeschi domenicani particolarmente attivi nella
valle del Reno, “una donna malvagia è
per sua natura più pronta a ripudiare la fede, il che è la radice della
stregoneria”.
E’ emblematico il fatto che l’oggetto
della persecuzione fosse perlopiù la donna, definita o infida e perversa per
natura, oppure fragile creatura in balia delle arti del demonio.
La strega del XVII secolo era
prevalentemente una povera vecchia, spesso senza marito, dal comportamento
antisociale, antifemminile, immorale, e religiosamente arretrata. Sfidando
insieme le convenzioni della sua religione e del suo sesso, riusciva a
offendere e spaventare i suoi superiori e chi le stava vicino. La decisione di
perseguitarla e giustiziarla può essere interpretata semplicemente come un
tentativo di liberare le comunità locali da figure sentite come inquietanti e
pericolose. Con l’uccisione delle streghe gli abitanti del villaggio riuscivano
anche a vendicarsi dei malefici che avevano colpito loro e i loro cari,
confermando nel contempo che la fonte delle loro disgrazie era stata
effettivamente la stregoneria.
Il bisogno d’ordine è ovviamente una
costante della natura umana, e ogni epoca si è indubbiamente impegnata per
soddisfarlo. Ma nel XVII secolo esso era oggetto di particolare preoccupazione,
soprattutto a causa della diffusa consapevolezza che l’antico ordine fosse
crollato.
All’interno della sua comunità la strega
rappresentava una continua provocazione all’ideale della società ben ordinata.
Innanzitutto, era generalmente al di fuori del sistema di controllo
patriarcale, e perciò costituiva una sfida a quanto veniva considerato una
gerarchia naturale. Era l’antitesi dell’ideale della moglie perfetta, punto
centrale della maggior parte delle concezioni di una società ben organizzata.
Nei rapporti con i suoi superiori si dimostrava insolente e arrogante.
Non deve quindi meravigliare che spesso
ci si riferisse a questa donna come a una ribelle. Naturalmente non
corrispondeva affatto allo stereotipo del ribelle. Vecchia, e talvolta
decrepita, sarebbe stata la persona meno adatta a organizzare un assalto
concreto contro l’ordine costituito.
Gran parte di questi discorsi sulla
ribellione erano puramente retorici e rispecchiavano le paure e le insicurezze
di una posizione maschile minacciata più che i timori per le attività della
strega stessa.
Le streghe furono i classici capri
espiatori, vittime delle nevrosi dell’élite dominante e della miseria delle
classi popolari.
Come sovversiva e come capro espiatorio,
la strega ha continuato ad esistere, molto dopo la fine della caccia alle
streghe e quando nessuno più credeva in loro. Molte volte nella storia moderna,
quando l’animo umano è stato preda di profondo timore, le autorità hanno
identificato all’interno di gruppi devianti o marginali l’origine dei loro
problemi: li hanno accusati di crimini non commessi; hanno attribuito loro
l’ambizione di distruggere l’ordine morale e politico; e hanno fatto tutto
quanto era in loro potere per annientarli. L’ebreo nella Germania nazista o il
comunista in America dopo la seconda guerra mondiale, hanno assunto il ruolo, e
in molti casi condiviso la sorte, della strega del XVII secolo.
Ma la strega non è stata semplicemente solo
capro espiatorio e vittima.
Essa incarnò talvolta quello “spirito di
rivolta” che la portò a unirsi alla protesta contro la politica delle élites al
potere e contro la prassi in uso nei tribunali del XVII secolo.
In qualche caso, sorretta dalla volontà
di affermare la propria innocenza, sopportò coraggiosamente le atroci torture
cui venne sottoposta e riuscì a sopravvivere. Nella grande maggioranza dei casi
fu giustiziata o bandita.
La sua morte o l’esilio rappresentano
una tragedia orribile, l’esito di uno dei più grandi errori giudiziari nella
storia dell’Occidente. Ripensando alla sua sfida contro le autorità che la
perseguivano, agli sforzi per sopportare le torture che le venivano inflitte,
all’insistenza con cui negava ogni sua colpa, non si può non provare per lei
ammirazione e allo stesso tempo pietà.