mercoledì 31 ottobre 2012

La strega e l'emarginazione della donna nella modernità: un laboratorio di storia locale.


SVOLGIMENTO ELABORATO PIATTAFORMA ON-LINE PER DOCENTI NEO-IMMESSI IN RUOLO (A.S. 2005/2006)

Suor Maria Valenza Marchionne, nata in una famiglia di contadini a Sezze Romano nel 1630, cresciuta in un contesto di religiosità popolare fortemente caratterizzata dal francescanesimo, divenuta badessa del monastero delle Clarisse di Santa Chiara di Sezze intorno al 1670, venne condannata nel 1703 dal Tribunale dell’Inquisizione romana a dieci anni di carcere per quietismo depravato.

Le accuse che avevano portato al processo erano turpi e infamanti: suor Maria era accusata di vanagloria e di pretesa di santità paravento di lussuria, falsità e di sete di potere.

La ricostruzione della biografia della protagonista, effettuata strategicamente dai contemporanei, tesa a screditare la donna francescana che aveva osato diventare, da umile popolana, badessa del convento del suo luogo di origine, si inserisce all’interno delle lotte religiose e di potere, caratteristiche del XVII secolo, che coinvolsero numerose vittime innocenti, in particolare donne, accusate o di quietismo depravato o di stregoneria.

Dopo il Concilio di Trento (1545 – 1563) la Chiesa fu animata da un profondo spirito di rinnovamento e, per altro verso, caratterizzata da una sistematica repressione del dissenso. Queste due istanze si espressero l’una attraverso un profondo anelito spirituale che investì la vita quotidiana, l’altra mediante una persecuzione metodica e organizzata della stregoneria.

A livello popolare, l’anelito spirituale si tradusse spesso nell’interesse spasmodico per il miracolo e il soprannaturale in genere.

La Chiesa della Controriforma seppe gestire abilmente questi bisogni popolari e alimentò la fede nei miracoli.

L’anelito più profondo e sincero alla santità fu espresso soprattutto da figure come Teresa d’Avila, monaca carmelitana e scrittrice instancabile. Nei suoi scritti ella affrontò il tema del rapimento, dell’estasi derivante dall’unione amorosa col Cristo, ma anche il senso di angoscia e disagio che la diversità della santità mistica comporta.

La necessità, da parte della Chiesa, di disciplinare l’anima e di evitarle di perdersi del nulla, comportava il controllo esercitato mediante i “tribunali della coscienza” cui erano sottoposti tutti coloro accusati di essersi allontanati dalle indicazioni dei trattati di spiritualità ufficialmente riconosciuti. Costoro, per lo più donne, venivano accusati di quietismo. Attraverso il racconto delle vicende “nefande” di cui si erano resi protagonisti, diffuso all’interno della comunità locale particolarmente sensibile a riconoscersi unita coalizzandosi contro l’altro, il diverso, costoro diventavano il capro espiatorio su cui riversare le proprie paure, i propri incubi, i propri sensi di colpa, i propri peccati.

 Lo stesso accadde a coloro, nella maggior parte donne, che vennero accusati di stregoneria.

Il Tribunale dell’Inquisizione di Milano, ad esempio, nel periodo che va dal giugno 1603 al giugno 1611, condannò al rogo Vetra Isabella Arienti, detta la Fabene, Gabbana la Montina, Vetra Doralice de’ Volpi e Vetra Antonia de’ Santini.

 I primi provvedimenti contro le streghe si collocano all’interno del più ampio fenomeno volto alla repressione delle eresie e risalgono alla prima metà del XII secolo.

La caccia alle streghe continuò a svilupparsi durante tutto il Medioevo, ma raggiunse proporzioni notevoli tra il XVI e il XVII secolo, nel clima di intransigenza religiosa, diffuso non solo sul fronte cattolico ma anche nei Paesi  protestanti, a seguito della Riforma protestante, della Riforma e della Controriforma cattolica, per poi esaurirsi nel corso del XVIII secolo.

Una vera e propria organizzazione della persecuzione della stregoneria e di ogni “diversità” religiosa e non, trovò il suo riferimento teorico dapprima nella bolla papale Summis desiderantes, che convalidava la credenza nelle streghe e nel potere stregonesco, e successivamente nel Malleus maleficarum.

Secondo il Malleus Maleficarum, scritto nel 1486 da Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, due inquisitori tedeschi domenicani particolarmente attivi nella valle del Reno,  “una donna malvagia è per sua natura più pronta a ripudiare la fede, il che è la radice della stregoneria”.

E’ emblematico il fatto che l’oggetto della persecuzione fosse perlopiù la donna, definita o infida e perversa per natura, oppure fragile creatura in balia delle arti del demonio.


La strega del XVII secolo era prevalentemente una povera vecchia, spesso senza marito, dal comportamento antisociale, antifemminile, immorale, e religiosamente arretrata. Sfidando insieme le convenzioni della sua religione e del suo sesso, riusciva a offendere e spaventare i suoi superiori e chi le stava vicino. La decisione di perseguitarla e giustiziarla può essere interpretata semplicemente come un tentativo di liberare le comunità locali da figure sentite come inquietanti e pericolose. Con l’uccisione delle streghe gli abitanti del villaggio riuscivano anche a vendicarsi dei malefici che avevano colpito loro e i loro cari, confermando nel contempo che la fonte delle loro disgrazie era stata effettivamente la stregoneria.


Il bisogno d’ordine è ovviamente una costante della natura umana, e ogni epoca si è indubbiamente impegnata per soddisfarlo. Ma nel XVII secolo esso era oggetto di particolare preoccupazione, soprattutto a causa della diffusa consapevolezza che l’antico ordine fosse crollato.


All’interno della sua comunità la strega rappresentava una continua provocazione all’ideale della società ben ordinata. Innanzitutto, era generalmente al di fuori del sistema di controllo patriarcale, e perciò costituiva una sfida a quanto veniva considerato una gerarchia naturale. Era l’antitesi dell’ideale della moglie perfetta, punto centrale della maggior parte delle concezioni di una società ben organizzata. Nei rapporti con i suoi superiori si dimostrava insolente e arrogante.


Non deve quindi meravigliare che spesso ci si riferisse a questa donna come a una ribelle. Naturalmente non corrispondeva affatto allo stereotipo del ribelle. Vecchia, e talvolta decrepita, sarebbe stata la persona meno adatta a organizzare un assalto concreto contro l’ordine costituito.

Gran parte di questi discorsi sulla ribellione erano puramente retorici e rispecchiavano le paure e le insicurezze di una posizione maschile minacciata più che i timori per le attività della strega stessa.

Le streghe furono i classici capri espiatori, vittime delle nevrosi dell’élite dominante e della miseria delle classi popolari.


Come sovversiva e come capro espiatorio, la strega ha continuato ad esistere, molto dopo la fine della caccia alle streghe e quando nessuno più credeva in loro. Molte volte nella storia moderna, quando l’animo umano è stato preda di profondo timore, le autorità hanno identificato all’interno di gruppi devianti o marginali l’origine dei loro problemi: li hanno accusati di crimini non commessi; hanno attribuito loro l’ambizione di distruggere l’ordine morale e politico; e hanno fatto tutto quanto era in loro potere per annientarli. L’ebreo nella Germania nazista o il comunista in America dopo la seconda guerra mondiale, hanno assunto il ruolo, e in molti casi condiviso la sorte, della strega del XVII secolo.


Ma la strega non è stata semplicemente solo capro espiatorio e vittima.

Essa incarnò talvolta quello “spirito di rivolta” che la portò a unirsi alla protesta contro la politica delle élites al potere e contro la prassi in uso nei tribunali del XVII secolo.

In qualche caso, sorretta dalla volontà di affermare la propria innocenza, sopportò coraggiosamente le atroci torture cui venne sottoposta e riuscì a sopravvivere. Nella grande maggioranza dei casi fu giustiziata o bandita.

La sua morte o l’esilio rappresentano una tragedia orribile, l’esito di uno dei più grandi errori giudiziari nella storia dell’Occidente. Ripensando alla sua sfida contro le autorità che la perseguivano, agli sforzi per sopportare le torture che le venivano inflitte, all’insistenza con cui negava ogni sua colpa, non si può non provare per lei ammirazione e allo stesso tempo pietà.

domenica 28 ottobre 2012

Due donne

Dalla prima volta in cui l'ho ascoltata, ho amato molto il testo di questa canzone in cui l'incontro casuale tra due vecchie amiche diventa l'occasione per fare un bilancio della propria esistenza, lasciando spazio ai ricordi e alla nostalgia per un periodo irrimediabilmente perduto, trasformando i sogni e le illusioni giovanili in una realtà quotidiana di disillusioni e speranze infrante.
Il testo è tratto dall'album "Paola Turci" del 1989.
DUE DONNE
Chi sei
Riconoscerai è
La mia voce per strada
Così
Mi richiamerai
Laura.
E già
Qualche tempo fa era
Un amore in comune
E sì
Quanta libertà
Laura.
Ora mi vedi e dimmi come stai
I tuoi bambini i tuoi dolori i guai
Le tue preghiere quando guardi lui
Che lo confondi con un sentimento
Uomo sbagliato amato per spavento
Quando eravamo insieme altre
Due donne
Come tante sai
Che la vita mai ci sarà amica come
noi
Non ci ha ancora avute
Non ci perderà
Ma i tuoi segreti confidati
Sono parte di me
Così
Ora guardi me
So
Cosa vuoi che ti dica
Ma sì
Ho lasciato lui
Laura
Non c’è nessun altro ma sai
Come gira
la storia
Ormai
Non
mi sento più sola
Ora che non so quasi più chi sei
Laura di pianto mi sorprenderai
Quando tra poco ci saluteremo
È un’emozione che va contro vento
Solo il rumore di un altro tempo
Quando eravamo insieme altre
Due donne
Come tante sai
Quello che hai gridato e che hai
sognato come
mai
Non
è ancora vero
e non lo trovi
mai
Le
chiamano scelte Laura adesso
Siamo sole lo stesso
Sembriamo vere donne adesso
Donne sole lo stesso
Eravamo due donne
Come tante sai
Quello che hai gridato e che hai
sognato come
mai
Non
è ancora vero
Non lo trovi
mai
Le
chiamano scelte Laura adesso
Siamo sole lo stesso
Sembriamo vere donne adesso
Donne sole lo stesso
Siamo sole lo stesso
(‎Già pubblicato sulla piattaforma Splinder il ‎6 ‎dicembre ‎2007)
 

sabato 27 ottobre 2012

Piccola storia ignobile

Era il 1976 quando Guccini pubblicò "Piccola storia ignobile".
 
Il dibattito sulla necessità di legalizzare l'aborto per evitare la piaga degli aborti clandestini che colpiva soprattutto le fasce più deboli della popolazione femminile (minorenni e ceti più poveri, perchè le altre si trasferivano all'estero per "un'appendicectomia") era in pieno svolgimento.
 
Non avevo ancora 15 anni. Sentii parlare per la prima volta di aborto durante un'assemblea studentesca autogestita. E, in quell'occasione, venni a conoscenza di una vicenda.
 
Riguardava una ragazza di buona famiglia, morta qualche mese prima. Mi ricordo che la sua morte, di cui avevo appreso leggendo i manifesti funebri affissi sui muri della città in cui vivevo, mi aveva colpito molto, forse perchè quella ragazza, che non conoscevo, aveva 15 anni, come me. Dal manifesto non si riusciva a capire quali fossero state le cause della sua morte.
 
Cause che divennero chiare durante quell'assemblea autogestita.
 
Era rimasta incinta. Temeva la reazione dei suoi genitori. Per evitare di affrontarli, si era affidata a una "mammana" che le aveva procurato l'aborto. E anche una setticemia, che ne aveva causato la morte.
 
Da quel momento io ho sempre sostenuto la legge 194/78, anche se non ho mai abortito. Ma sono sempre stata dell'idea che uno Stato laico non debba chiudere gli occhi di fronte alla realtà. L'aborto non è stato inventato dalla 194. Quella legge ha cercato di limitare i danni causati dall'ignoranza, dalla cattiva informazione, dall'abitudine a ricorrere a una pratica che è sempre esistita.
 
Francesco Guccini: "Piccola Storia Ignobile" - Da "Via Paolo Fabbri 43" (1976)
Ma che piccola storia ignobile mi tocca raccontare, così solita e banale come tante,
 che non merita nemmeno due colonne su un giornale o una musica o parole un po' rimate,
 che non merita nemmeno l' attenzione della gente, quante cose più importanti hanno da fare,
 se tu te la sei voluta, a loro non importa niente,
 te l' avevan detto che finivi male...

Ma se tuo padre sapesse qual' è stata la tua colpa rimarrebbe sopraffatto dal dolore,
 uno che poteva dire "guardo tutti a testa alta", immaginasse appena il disonore,
 lui che quando tu sei nata mise via quella bottiglia per aprirla il giorno del tuo matrimonio,
 ti sognava laureata, era fiero di sua figlia,
 se solo immaginasse la vergogna,
 se solo immaginasse la vergogna,
 se solo immaginasse la vergogna...

E pensare a quel che ha fatto per la tua educazione, buone scuole e poca e giusta compagnia,
 allevata nei valori di famiglia e religione, di ubbidienza, castità e di cortesia,
 dimmi allora quel che hai fatto chi te l' ha mai messo in testa o dimmi dove e quando l'hai imparato
 che non hai mai visto in casa una cosa men che onesta
 e di certe cose non si è mai parlato
 e di certe cose non si è mai parlato
 e di certe cose non si è mai parlato...

E tua madre, che da madre qualche cosa l' ha intuita e sa leggere da madre ogni tuo sguardo:
 devi chiederle perdono, dire che ti sei pentita, che hai capito, che disprezzi quel tuo sbaglio.
 Però come farai a dirle che nessuno ti ha costretta o dirle che provavi anche piacere,
 questo non potrà capirlo, perchè lei, da donna onesta,
 l' ha fatto quasi sempre per dovere,
 l' ha fatto quasi sempre per dovere,
 l' ha fatto quasi sempre per dovere...

E di lui non dire male, sei anche stata fortunata: in questi casi, sai, lo fanno in molti.
 Sì, lo so, quando lo hai detto, come si usa, ti ha lasciata, ma ti ha trovato l' indirizzo e i soldi,
 poi ha ragione, non potevi dimostrare che era suo e poi non sei neanche minorenne
 ed allora questo sbaglio è stato proprio tutto tuo:
 noi non siamo perseguibili per legge,
 noi non siamo perseguibili per legge,
 noi non siamo perseguibili per legge...
E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo desiderando quasi di morire,
 presa come un animale macellato stavi urlando, ma quasi l' urlo non sapeva uscire
 e così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi davvero sola fra le mani altrui,
 che pensavi nel sentire nella carne tua quei morsi
 di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
 di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
 di tuo padre, di tua madre e anche di lui?
Ma che piccola storia ignobile sei venuta a raccontarmi, non vedo proprio cosa posso fare.
 Dirti qualche frase usata per provare a consolarti o dirti: "è fatta ormai, non ci pensare".
 E' una cosa che non serve a una canzone di successo, non vale due colonne su un giornale,
 se tu te la sei voluta cosa vuoi mai farci adesso
 e i politici han ben altro a cui pensare
 e i politici han ben altro a cui pensare
 e i politici han ben altro a cui pensare...
 
 
(Rielaborazione di un vecchio post già pubblicato sulla piattaforma Splinder il ‎26 ‎luglio ‎2011)

Per sempre

Giura che lo ama. Che resteranno insieme per sempre. Che da quando lo ha incontrato, la sua vita ha avuto, finalmente, un senso.
Hanno festeggiato il loro anniversario con un video pubblicato su un social network, affinché tutti sapessero dell'importanza del loro amore.
Ho sorriso e ho provato tenerezza e timore guardando quel video. Loro hanno 16 anni.
Io quasi 50.
E ho imparato che gli amori giovanili spesso svaniscono, con la stessa immediatezza con cui sono nati.
(Già pubblicato da Critolao sulla piattaforma Splinder il ‎6 ‎agosto ‎2010)

Quelli del professionale

Quante volte è capitato di dover assistere all'autodenigrazione da parte degli studenti degli istituti professionali!
 
"Profe, non siamo al liceo, noi siamo del professionale!"
"Profe, è inutile, perde tempo, queste cose non le capiremo mai!"
"Profe, non siamo capaci, non riusciamo, profe, lasciamo perdere!!!"
Spesso, l'atteggiamento autodenigratorio è dettato dalla paura di imbattersi in un insuccesso, l'ennesimo della loro storia scolastica, fatta di frasi ascoltate da docenti o presunti tali che li hanno feriti, offesi con quelle che sarebbero dovute essere battute divertenti quali "Non capisci proprio niente!" oppure "Lo sapevo che non avresti capito nulla, la scuola non è proprio per te!".
A volte, invece, l'autodenigrazione è il tentativo di non impegnarsi, di bighellonare piuttosto che approfittare dell'opportunità di imparare che la scuola italiana, seppur malandata, può offrire.
In fondo, che gli studenti giochino al ribasso ci può anche stare.
Ciò che trovo inammissibile e assolutamente censurabile è invece l'atteggiamento di quegli insegnanti, di diverso ordine e grado, che di fronte alle difficoltà degli alunni degli istituti professionali esclamano: "Ma è chiaro che abbiamo difficoltà, sono i peggiori provenienti dalle elementari e dalle medie!"
Spiegatemi una cosa, cari colleghi che così vi esprimete. Peggiori si nasce o si diventa?
Troppo comodo insegnare a chi ha buone capacità e ottima volontà. Ma la sfida, come ci ha insegnato Don Milani, è insegnare a Gianni, non a Pierino del dottore.
"Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. É un ospedale che cura i sani e respinge i malati." (Scuola di Barbiana: "Lettera a una professoressa", Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, I edizione 1967, pg. 20)
(Rielaborazione di un vecchio post pubblicato sulla piattaforma Splinder il ‎3 ‎ottobre ‎2008) 

Passione politica

Fu la mia insegnante di filosofia del liceo a farmi appassionare alla politica. "L'uomo è un animale politico, come diceva Aristotele, ed ogni nostra scelta è una scelta politica, anche se non ce ne rendiamo conto." , così continuava a sostenere. E in effetti, quelli erano anni di grande impegno politico in cui erano coinvolte soprattutto le giovani generazioni. Erano gli anni de "Il personale è politico", in cui diventava necessario per ciascuno di noi mostrare impegno ed interesse attento verso le grandi questioni, nazionali ed internazionali. Guai a non interessarsene, si veniva tacciati di qualunquismo, nella migliore delle ipotesi, o di fascismo. Questo era almeno ciiò che accadeva nel mio liceo e nella cittadina del sud d'Italia in cui vivevo. Ammettere di apprezzare un disco di Battisti o di Baglioni, di leggere una rivista femminile o, peggio ancora, di seguire il calcio poteva diventare occasione di disprezzo da parte degli "impegnati" di sinistra.
Inizialmente abbracciai con entusiasmo e passione l'impegno politico. Frequentavo le sezioni di partito e i collettivi femministi e scoprivo un mondo diverso da quello in cui avevo creduto di vivere fino a quel momento. Certo, c'era qualcosa che non mi convinceva e non mi piaceva. I picchetti e il servizio d'ordine per le manifestazioni e gli scioperi, ad esempio. Le spedizioni punitive contro "i fasci che hanno picchiato i compagni". La censura preventiva verso gli interventi di coloro che la pensavano diversamente durante le assemblee d'istituto al grido "I fascisti non devono parlare!". Non mi stava bene e cominciai a dirlo. Venni tacciata di essere fascista anch'io. All'epoca (erano gli anni Settanta) era un grave insulto. Non mi importava. Non era quello ciò che la mia insegnante mi aveva insegnato essere la politica, l'arte di partecipare alla vita pubblica. Non mi interessavano le etichette. Mi interessavano le idee. Seguace dei principi dell'illuminismo, facevo mio l'aforisma di Voltaire: "Non sono d'accordo con te, ma darei la vita per consentirti di esprimere le tue idee".
Esprimevo così la mia passione politica. Ancora oggi la esprimo così. Ascoltando gli altri, documentandomi, disprezzando i toni aggressivi di chi attacca preventivamente l'avversario schernendolo ed insultandolo. Ciò che mi interessa è capire: capire le ragioni degli uni e degli altri, al di là degli schieramenti e delle posizioni preconcette.
(Già pubblicato da Critolao sulla piattaforma Splinder il ‎13 ‎luglio ‎2008) 

Rispetto delle regole

Molti studenti, all'interno delle aule scolastiche, hanno la pessima abitudine di passarsi gli oggetti lanciandoseli.
Per loro è normale.
Perchè, si chiedono, uno dovrebbe, come suggerisco io, alzarsi dal banco per avvicinarsi a quello del compagno per porgergli la gomma, o la matita, o la penna da prestargli, quando è molto più veloce lanciargliela?
E' più veloce, obietto io, ma è più pericoloso.
Tutto va bene finchè la penna volante non sfiora l'occhio di qualcuno, ad esempio un terzo compagno che rischia anche di perdere la vista.
<Lei è sempre esagerata! Non succede quasi mai! E comunque, anche se capitasse, pazienza!>
<Pazienza un corno!>, penso io, e via con il predicozzo atto a dimostrare che le regole di convivenza e di buona educazione bisogna rispettarle, per i nostro bene e per quello di coloro che ci circondano.
Alla fine, stremata, mi sento rispondere spesso provocatoriamente: <Profe, in questo paese le regole non le rispetta nessuno! Perchè dovremmo farlo proprio noi?>.
Educare è difficile, sempre. Diventa ancora più complicato quando si vive all'interno di un sistema che spesso dimentica che il rispetto delle regole serve a garantire la sicurezza di tutti.
 
‎(Già pubblicato sulla piattaforma Splinder il ‎5 ‎novembre ‎2007 da Critolao)

venerdì 26 ottobre 2012

"Se una radio è libera..."

"Bastarono i nostri quindici anni.
Bastò un trasmettitore da 5 watt preso a centomila lire.
Bastò un vecchio giradischi Philips, un microfono da dieci carte e un mixerino con due fader.
Bastò l'estro di un amico diciassettenne che faceva l'Istituto tecnico.
Bastò una stanza di casa sua e un'antennazza sui suoi tetti.
E avemmo la nostra radio."
(Luciano Ligabue: "Fuori e dentro il borgo", Baldini & Castoldi, Milano, 1997, pg. 80)

"<<Ecco.>>
<<Ecco cosa?>>
<<Novantanove megahertz.>>
<<Cosa?>>
<<E' la frequenza, la nostra frequenza.>>
<<Vuoi dire, che...>>
<<Siamo in onda.>>
[...]
Quella era Radiopirata, la più piccola radio dell'universo. Trasmetteva sui 99 megahertz. Non ce ne sarebbe stata mai più una uguale."
(Francesco Carofiglio: "Radiopirata", Marsilio Editori S.p.A., Venezia, 2011, pg. 150, pg. 152)


http://youtu.be/ac1HtWUuKHo

lunedì 22 ottobre 2012

Finché morte non vi separi

Mi è capitato, ieri pomeriggio, durante uno zapping, di fermarmi su uno dei momenti del contenitore pomeridiano domenicale di Rai 1, condotto da Lorella Cuccarini. Si parlava di femminicidio, una parola purtroppo frequente in questi giorni. Le recenti statistiche indicano che, nel nostro Paese, una donna viene uccisa ogni due giorni. Omicidi passionali, li si definiscono. Solitamente si tratta di casi di donne che hanno lasciato i loro uomini i quali non si rassegnano a perdere l'OGGETTO del loro (PRESUNTO) amore.
Nel corso della trasmissione, durante il dibattito, è emerso che dietro questi eventi criminali ci sono tradizioni e culture radicate difficili da estirpare.
Ieri sera, poi, mentre mi intrattenevo su Facebook, ho trovato postato questo Decalogo. A dire il vero, era oggetto di ilarità e sberleffo.
Io però mi sono indignata. Io sono nata nel 1961. So che cosa era la famiglia prima dell'introduzione del Nuovo Diritto di Famiglia (1975). So che cosa era il delitto d'onore, in vigore nel nostro Codice Penale fino al 1981.
So che cosa i sacerdoti suggerivano alle mogli vittime, insieme ai loro figli, delle quotidiane violenze dei loro mariti.
Io credo che anche questo decalogo, in buona parte, sebbene risalente a più di cinquanta anni fa, abbia contribuito a costruire e a radicare quella mentalità, che vuole la donna succube del proprio uomo, così difficile da superare.

"Decalogo Dell'Azione Cattolica Per Le Mogli, Pubblicato Nel 1960

Vi siete sposata davanti a Dio e agli uomini.
Dovete essere all’altezza della vostra missione.

LA SERA QUANDO RIENTRA
Preparate le cose in anticipo, in modo che lo attenda un pasto delizioso.
E’ un modo per fargli sapere che avete pensato a lui e che vi prendete a cuore i suoi bisogni.

SIATE PRONTA
Prendete quindici minuti per riposare al fine di essere distesa.
Ritoccate il trucco, mettete una fascia tra i capelli e siate radiosa e Avvenente.
Ha passato la giornata in compagnia di gente oberata di fastidi e di lavoro.
Occorre rallegrare la sua dura giornata, ed è uno dei vostri doveri fare in modo che ciò avvenga. Vostro marito avrà la sensazione di essere approdato a un porto quieto, e questo renderà parimenti felice anche voi.
In definitiva, vegliare sul suo benessere vi procurerà soddisfazione una personale.

RIDUCETE AL MINIMO OGNI RUMORE
Al suo arrivo, eliminate tutti i rumori degli elettrodomestici: lavatrice, asciugabiancheria o aspirapolvere. Incoraggiate i bambini a stare buoni.
Accoglietelo con un sorriso caloroso e mostrate sincerità nel vostro desiderio di piacergli.

ASCOLTATELO
E’ possibile che abbiate una dozzina di cose importanti da dirgli, ma non è il momento opportuno quello in cui lui fa ritorno a casa. Lasciatelo parlare per primo, ricordate che i suoi argomenti di conversazione sono più importanti dei vostri.

NON VI LAMENTATE MAI SE RIENTRA TARDI
O se esce per cena o per andare in altri luoghi di divertimento senza di voi.

NON ACCOGLIETELO CON LAMENTELE E PROBLEMI
Ricevetelo con tutti i comfort. Proponetegli di rilassarsi su una sedia comoda, o di andare a stendersi in camera da letto. Parlate con voce dolce, tranquillizzante.
Non fategli domande e non mettete mai in discussione il suo giudizio o la sua integrità.
Ricordate che è il padrone di casa e che, in quanto tale, eserciterà sempre la sua volontà con giustizia e onestà.

QUANDO HA FINITO DI CENARE SPARECCHIATE LA TAVOLA E LAVATE
RAPIDAMENTE I PIATTI
Se vostro marito si offre di aiutarvi, declinate la sua offerta, perché si sentirebbe obbligato a ripeterla in seguito, e dopo una giornata lunga e faticosa non ha affatto bisogno di lavoro supplementare. Incoraggiatelo a dedicarsi ai suoi passatempi preferiti e mostrategli di essere interessata senza tuttavia dare l’impressione di sconfinare nel suo territorio.
Fate in modo di non infastidirlo parlandogli, perché gli interessi delle donne sono spesso piuttosto
insignificanti in confronto a quelli degli uomini.
Una volta che vi siete ritirati in camera entrambi, preparatevi a mettervi a letto prontamente.

NELL’ANDARE A CORICARVI, ASSICURATEVI CHE IL VOSTRO ASPETTO
SIA A SUO MEGLIO
Cercate di avere un aspetto avvenente, ma non conturbante. Se dovete mettervi della crema o dei bigodini, attendete che si sia addormentato, perché potrebbe essere uno shock per lui addormentarsi davanti a un tale spettacolo.

PER QUEL CHE CONCERNE LE RELAZIONI INTIME CON VOSTRO MARITO
E’ importante ricordare le promesse di nozze, e in particolare l’obbligo di obbedirgli.
Se ritiene di avere bisogno di dormire immediatamente, che sia così. Lasciatevi sempre guidare dai suoi desideri e non fate in alcun modo pressione su di lui per provocare o stimolare una relazione intima.

SE VOSTRO MARITO SUGGERISCE L’ACCOPPIAMENTO
Accettate allora con umiltà, tenendo a mente che il piacere dell’uomo è più importante di quello della donna. Quando raggiunge l’orgasmo, un piccolo gemito da parte vostra lo incoraggerà, e sarà sufficiente per indicare ogni forma di piacere che possiate avere provato.

SE VOSTRO MARITO SUGGERISCE UNA QUALUNQUE TRA LE PRATICHE
MENO CORRENTI
Mostratevi obbediente e rassegnata, ma indicate un’eventuale mancanza di entusiasmo osservando il silenzio. E’ possibile che vostro marito si addormenti allora rapidamente: ricomponetevi, rinfrescatevi e mettete la crema da notte e i prodotti per i capelli.

POTETE QUINDI PUNTARE LA SVEGLIA
Al
fine di essere in piedi un po’ di tempo prima di lui, la mattina.

Questo gli consentirà di avere la tazza di tè del mattino a disposizione non appena si sveglierà."

sabato 20 ottobre 2012

Accetto le 24 ore settimanali. Però...

Ok, accetto le 24 ore settimanali. Se è necessario, ne faccio anche 36 senza alcuna modifica dell'attuale retribuzione. Rivendico però, come cittadina, che a pagare non siano solo gli insegnanti ma tutti, "in ragione della loro capacità contributiva" (Art. 53 della Costituzione della Repubblica Italiana). Si eliminino, innanzi tutto, tutti i privilegi dei parlamentari e si riducano le loro retribuzioni. Si puniscano, chiedendo di risarcire lo Stato e gli altri cittadini, tutti i corrotti e tutti i corruttori nonché gli evasori fiscali, piccoli o grandi che siano. E, soprattutto, si smetta di promettere grandi riforme e innovazioni: questo Paese ha solo bisogno (riconosco che non è poco) di essere credibile rispettando le regole e le persone oneste. Tutto il resto è fuffa.

mercoledì 17 ottobre 2012

Difendiamo la Scuola!

Il mio appello è rivolto a tutti, non solo agli insegnanti ma a tutti i cittadini che sono soprattutto padri e madri dei nostri studenti.
Di solito cerco di rendermi impermeabile rispetto a ciò che non posso modificare o che credo di non poter modificare. Nel corso della mia carriera, ho attraversato fasi diverse; all'inizio ero del tutto impreparata alla complessità dell'argomento Scuola, pensavo solo che volevo fare l'insegnante, che ce l'avrei fatta a qualunque costo, poco importava che vivessi in una regione, la Liguria, dove c'erano più docenti che studenti, sarei andata ovunque, avrei setacciato l'Italia alla ricerca di una scuola dove ci fosse un posto per me, io dovevo realizzare il mio sogno.
 Uscita dal mondo dorato dell'università, dove ad ogni causa corrispondeva un effetto (studiavo e prendevo trenta, funzionava così), ero fiduciosa che i miei sacrifici avrebbero avuto un riscontro, bastava avere pazienza...e di pazienza ne ho avuta, il concorso è stato bandito dieci anni dopo la laurea, e poi un'ulteriore attesa di quattro anni per entrare in ruolo.
In quegli anni di precariato la Scuola di bastonate ne ha prese tante, a seconda della violenza del colpo inferto, ho partecipato agli scioperi indetti oppure ho pensato che non fosse il caso. Ero comunque fiduciosa che le nostre ragioni venissero ascoltate, perchè il destino della Scuola stava a cuore a tutti, indipendentemente dalle ideologie politiche, doveva essere così. Questo pensavo.
Poi sono piombata in un periodo in cui mi sono convinta che gli scioperi non servissero a niente se non, allo stato, per incamerare un bel mucchietto di soldi; così ho allentato la presa, cullandomi in un fatalismo che qualcuno potrebbe chiamare vigliaccheria o peggio ancora.
La notizia di questi giorni però mi ha dato una scossa, portare le ore di lavoro degli insegnanti da diciotto a ventiquattro, accampando ragioni lontane da ogni logica, risponde ad un'unica finalità, presenta un unico punto forte (seconda la logica del profitto!), risparmiare denaro...tutto il resto volge evidentemente a sfavore della qualità dell'istruzione. Gli studenti non godranno di alcun beneficio a seguito delle mie sei ore di lavoro in più; non offrirò loro un numero maggiore di ore, avrò semplicemente un maggior numer numero di classi. Posso ricavarne una sola considerazione: la qualità del mio lavoro sarà meno soddisfacente.
Non regge neppure l'idea di scoraggiare i 'fannulloni' ad intraprendere questa professione nè, tantomeno, ad abbandonarla: chi batteva la fiacca durante le sue diciotto ore, continuerà beatamente a farlo nelle ipotetiche ventiquattro!
E' per queste ragioni che l'appello a difendere la Scuola è rivolto a tutti! Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, insegnanti e non.

Ho preferito non affrontare, in questa sede, altri punti deboli della proposta 'idecente', quali la sciabolata che si abbatterebbe sui precari qualora entrasse in vigore (credo di non sbagliare, affermando che per loro sarebbe assai improbabile lavorare) e l'inutilità dell'imminente concorso, a fronte della drastica riduzione di cattedre.

Legge morale (I. Kant)

"Due cose riempiono l'animo di ammirazione e di venerazione sempre nuove e crescenti, quanto più sovente ed a lungo si riflette sopra di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me."
(Immanuel Kant: "Critica della ragion pratica", trad. it. di P. Chiodi, in "Scritti morali", Utet 1970, pg. 313) 

mercoledì 10 ottobre 2012

Naufragio 50


Ho sposato un uomo che mi faceva e mi fa ridere tanto. La sua intelligenza coniugata alla capacità di ridere bonariamente di sé stesso e di ciò che lo circonda mi hanno subito affascinata. Ogni situazione, anche la più drammatica, viene da lui alleggerita con una battuta. Così affrontare e superare le noie quotidiane diventa più facile e anche una contrarietà sul lavoro la si liquida con un sorriso. È nato così questo post, frutto di una composizione prodotta da un marito burlone, il mio.

 

Naufragio 50

(Parodia della telefonata De Falco - Schettino liberamente rielaborata)

Preside: «Sono il Preside, parlo con 50?»
50: «Sì, buongiorno Preside»
Preside: «Mi dica per favore la sua graduatoria»
50: «Sono nella graduatoria 50, sono nelle prime posizioni, Preside»
Preside: «50? Ascolti 50. Ci sono alunni intrappolati nel POF. Adesso lei va nella Sala Docenti. C’è un registro. Lei sale le scale con quel registro e va in classe. Va in classe e mi riporta quanti alunni hanno fatto assenza, quanti hanno bigiato e quanti sono da interrogare. Le è chiaro? Io sto registrando questa comunicazione, 50…».
50: «Preside, le dico una cosa…»
Preside: «Parli a voce alta. Metta i voti sul registro e parli a voce più alta, chiaro?».
50: «In questo momento la cattedra è inclinata…».
Preside: «Ho capito. Ascolti: ci sono alunni che stanno uscendo sul corridoio per il cambio dell'ora. Lei quel corridoio lo percorre in senso inverso, entra in classe e mi dice quanti alunni ci sono seduti composti al loro banco. Chiaro? Mi dice se hanno micro-conoscenze, macro-conoscenze e piani formativi adeguati. E mi dice il numero di ciascuna di queste categorie. E’ chiaro?
Guardi 50 che lei si è salvato forse dal coordinamento del Consiglio di Classe ma io la porto… veramente molto male… le faccio passare un’anima di guai. Vada in classe, c..zo!»
50: «Preside, per cortesia…»
Preside: «No, per cortesia… lei adesso prende e va in classe. Mi assicuri che sta andando in classe…».
50: «Io sto andando qua con la collega, sono qua in Sala Docenti, non sto andando da nessuna parte, sono qua…»
Preside: «Che sta facendo, 50?»
50: «Sto qua per correggere le verifiche…»
Preside: «Che sta correggendo lì? Vada in classe. Completi le interrogazioni del quadrimestre. Lei si rifiuta? »
50: «No, no, non mi sto rifiutando».
Preside: «Lei si sta rifiutando di andare in classe 50?? Mi dica il motivo per cui non ci va!»
50: «Non ci sto andando perché ci sta l’altra profe che si è fermata a parlare con i ragazzi…».
Preside: «Lei vada in classe, è un ordine. Lei deve completare le interrogazioni. Lei ha dichiarato che le mancano i voti, adesso comando io. Lei vada in classe! E’ chiaro? Non mi sente? Vada in classe e mi faccia un cenno dalla finestra. Ci sta il mio collaboratore lì».
50: «Dove sta il suo collaboratore?»
Preside: «Il mio collaboratore sta sul piano della classe. Avanti! Ci sono già degli impreparati, 50».
50: «Quanti impreparati ci sono?»
Preside: «Non lo so... Uno lo so. Uno l’ho interrogato io. Me lo deve dire lei quanti ce ne sono, C….!».
50: «Ma si rende conto che sta per suonare l'ora e ho l'ora buca…».
Preside: «E che? Vuole tornare al bar, 50? Ha fame e vuole prendere un cornetto? Torni in classe e mi dica cosa si può fare, quanti alunni ha interrogato e che voto hanno. Ora!».
50: «(…) Sono assieme al profe di matematica in seconda».
Preside: «Tornate in classe tutti e due allora. (…) Lei e il suo collega in seconda tornate in classe, ora. E’ chiaro?».
50: «Preside, io voglio tornare, semplicemente che l’altra classe qua… ci sono gli altri da interrogare, adesso ho iniziato a interrogare gli altri…».
Preside: «Lei è dall'inizio della terza ora che mi sta dicendo questo. Adesso va in classe, va in C-L-A-S-S-E! E mi dice subito quanti alunni hanno presentato giustificazione».
50: «Va bene, Preside»
Preside: «Vada, subito!»