lunedì 19 dicembre 2011

la storia di Luca

Ieri mattina ho incontrato Luca. Ero ferma alla fermata dell'autobus e ho sentito un "Salve, profe!".
Ho sollevato lo sguardo e l'ho visto, sul marciapiede opposto. Si sbracciava per salutarmi e faceva segno di volermi raggiungere.
Ha attraversato la strada ed abbiamo chiacchierato un po'. Mi ha raccontato che continua a lavorare per la stessa ditta in cui è entrato quando ha lasciato la scuola. Gioca ancora a calcio, certo. Ha cambiato squadra e attualmente ha il ruolo di portiere titolare; si tratta di una squadra di infima categoria, ma pazienza!
Ogni volta che incontro Luca mi fa piacere restare a fare quattro chiacchiere con lui, anche se poi quella chiacchierata diventa l'occasione per riflettere sugli eterni mali della scuola.
Luca è uno di quei ragazzi che la scuola ha respinto.
"Ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell'istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che <respingete>. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate." scrivevano i ragazzi della scuola di Barbiana in "Lettera a una professoressa". (Scuola di Barbiana: "Lettera a una professoressa", Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1967, pag. 9)
No, io non ho dimenticato Luca, così come non ho dimenticato nessuno dei ragazzi che ho conosciuto durante i mei anni di insegnamento e che, come Luca, sono stati respinti dalla scuola.
Fin dal primo approccio, Luca ha avuto un pessimo rapporto con la scuola. Già dai primi giorni si è reso conto che, a differenza dei suoi compagni di classe, egli faceva una gran fatica a riconoscere quei segni in cui gli altri vedevano parole e lui solo fantasmi che lo perseguitavano e cui non riusciva a dare una corrispondenza se non a fatica, tra incertezze, pause ed omissioni. Subito si è reso conto di essere diverso. E subito è scattato in lui il rifiuto della scuola, di tutto ciò che avesse a che fare con la scrittura e la lettura. Quel rifiuto si trasformava in ribellione, insofferenza, aggressività verso sé stesso e gli altri. E' stato così per anni. Per tutti gli anni della scuola dell'obbligo. Portato avanti a fatica, con l'etichetta di "non adatto" alla scuola, tra varie ripetenze, Luca ha odiato la scuola e ha odiato sé stesso per non essere stato in grado di rispondere alle richieste di quell'istituzione che gli ha segnato l'infanzia e una parte dell'adolescenza.
Ora che ha abbandonato la scuola (nel momento in cui l'ha fatto, molti colleghi hanno tirato un sospiro di sollievo), continua a ripetere che "la scuola non era adatta a lui e lui non era adatto alla scuola", come se avesse interiorizzato la sua inadeguatezza.
La scolarizzazione di massa ha comportato proprio questo, in molti casi: l'incapacità di riconoscere le difficoltà di apprendimento (nella lettura, nella scrittura, nel calcolo) di alcuni studenti pur in presenza di un normale quoziente intellettivo, con conseguenti insuccessi scolastici.
D'altra parte, per favorire la scolarizzazione di massa, la scuola ha abbassato la qualità complessiva dei livelli di apprendimento, al punto che gli studenti italiani risultano agli ultimi posti nell'applicazione delle conoscenze acquisite.
Probabilmente la sfida cui la scuola è chiamata, sperando che non sia troppo tardi (anche se per Luca e per quelli come lui è ormai troppo tardi!) è quella di favorire un apprendimento, mediante una riduzione del numero di studenti per classe, classi aperte e attività di laboratorio, adeguato alla potenzialità dei singoli. Certo, il rischio è che si fallisca, come già è avvenuto nelle scuole elementari e medie. Anche perchè qualunque riforma passa attraverso i docenti e, a mio avviso, è il modo di operare dei docenti che, in primo luogo, dovrebbe cambiare se davvero si vuole realizzare una scuola diversa.

(Già pubblicato su altra piattaforma il 4 dicembre 2007)

venerdì 16 dicembre 2011

Libertà d'espressione e contesti

Sono convinta che ciascuno debba essere libero di abbigliarsi come meglio crede. Ma allo stesso tempo ritengo che ciascuno di noi debba adattare la propria libertà di espressione di sé al contesto in cui si trova ad agire.
"Sono uscita da scuola verso le 17, dopo un consiglio d'istituto di tre ore in cui si è discusso - senza costrutto ma fino all'ultimo sangue - se sia o no il caso di consigliare
(non imporre, figurarsi, non fia mai, ma consigliare) alle ragazze di presentarsi alle lezioni abbigliate non come aspiranti ballerine in un locale di lap dance di terz'ordine, ma come studentesse aspiranti a un sia pur declassato diploma in un fatiscente edificio. Alle auliche difese di tanga, ombelico e solco intergluteo da parte di tanti miei colleghi - equamente suddivisi, va detto, tra maschi e femmine - del tipo <<diritto alla creatività>>, <<consapevolezza del proprio corpo>>, <<gioia della sessualità>>, unite agli alti lai per l'<<attentato alla libertà di espressione di chiaro stampo reazionario>>, io e uno sparuto gruppetto di anziane (professionalmente e no) non ce la siamo sentita di opporre argomenti terra terra come <<Chi mi sa dire in quale posto di lavoro prenderebbero ragazze conciate così?>>. Una collega sapeva la risposta esatta - la tangenziale - e voleva dirla, ma poi su consiglio delle altre ha taciuto per non inasprire ancor più gli animi."

(Michela Franco Celani: "Mai dire ormai", Mursia, Milano, 2010, pgg. 10-11)
(Già pubblicato su altra piattaforma il 2 ottobre 2011)

lunedì 12 dicembre 2011

Addii

Arriva, inevitabilmente, il momento di dire addio.
A chi si ama, a chi si è amato e non si ama più, a chi si ama ancora ma occorre lasciare per non soffocare l'anelito di libertà che c'è in ognuno di noi, per non continuare a farsi male perché a volte, pur amandosi, non si riesce a stare vicini.
Un addio fa male ma a volte è necessario.
Per non continuare a soffrire, per tornare ad essere vivi, per tornare ad essere sé stessi.

sabato 10 dicembre 2011

Reclutamento e selezione degli insegnanti

Uno degli aspetti più problematici dell'istruzione scolastica è attualmente legato al reclutamento degli insegnanti.
Un reclutamento e una selezione come quelli attuati fino ad oggi non sono probabilmente il miglior sistema per garantire una classe docente preparata e competente.

Ciò non significa che non vi siano, ad oggi, insegnanti seri, competenti e preparati, in grado di svolgere il loro mestiere con serietà, professionalità e passione.

Il problema sono gli altri. Quelli di cui studenti, genitori, colleghi e presidi riconoscono l'inadeguatezza.

Inadeguatezza dovuta a molteplici motivi: perché non sanno relazionarsi con le classi, perché non amano questo mestiere, perché si sentono poco stimati socialmente e non hanno più voglia di sprecare con studenti sempre più demotivati il loro preziosissimo tempo, perché non si divertono più, perché sono mal retribuiti, perché non ci hanno mai creduto o non ci credono più, perché ritengono di avere a che fare con una massa di ignorantoni che non capiscono niente e non studiano, perché...

Qualunque sia la causa della loro inadeguatezza, si fa spesso molto poco per allontanarli dalla cattedra. Spesso non si fa nulla. Coloro che se li ritrovano sulla cattedra, presidi, colleghi, genitori o studenti che siano, ingoiano amaro e sperano che l'anno scolastico passi il più presto possibile. Qualcuno si ribella, ma la procedura burocratica per allontanare dalla scuola gli insegnanti non all'altezza è così complicata che spesso si rinuncia in partenza.

Gli stessi comitati di valutazione, quelli costituiti da docenti e dirigente del neoassunto che effettua l'anno di prova, risultano essere una farsa, un teatrino in cui si sa che finirà tutto in gloria. A meno che il docente neoassunto in questione non faccia qualcosa di davvero eclatante.

Del resto gli stessi sindacati remano in questa direzione. Ricordo benissimo l'assemblea, organizzata da un sindacato della scuola, in cui si fornivano indicazioni ai neoassunti sull'anno di prova. "A meno che non buttiate uno studente giù dalla finestra, quest'anno sarà solo una formalità e alla fine verrete inseriti a pieno titolo nell'organico della scuola."

Questo ho sentito dire. Questo ho visto fare, finora.

Ciò non significa che io non pensi al destino del lavoratore o della lavoratrice allontanati dalla cattedra o dalla scuola. Come insegnante e come esperta di pedagogia, tuttavia, mi stanno più a cuore i destini di centinaia, migliaia di studenti cui la sorte ha destinato un cattivo insegnante.

Agli insegnanti sono affidati bambini e adolescenti la cui vita potrebbe completamente cambiare, a seconda che finiscano nella classe di bravi o di cattivi maestri.

Bisognerebbe che chi ne ha la possibilità o il potere dicesse chiaramente ai cattivi maestri o a coloro che sono diventati cattivi maestri, di lasciare la scuola. Dedicarsi ad altro. Spedire pacchi postali, timbrare o passare carte, anche nella scuola stessa, magari, ma lontano dai bambini, lontano dai ragazzi che costituiscono le basi su cui costruire il futuro.

(Post, in parte modificato, già pubblicato su altra piattaforma il 27 settembre 2010)

"Non siete credibili!"

Lo continuo a sentire, benché ormai non me lo dicano più da qualche anno.
"Non siete credibili!" continuavano a ripetere gli studenti della quinta decimata anche agli Esami di Stato.
Lo ripetevano, in particolare, il capo-coro, interista e fan di Materazzi, e il suo amico dal quaderno perfetto.
Sostenevano che noi adulti, docenti in particolare, continuassimo a minacciarli di punizioni che mai avrebbero ricevuto.
"Non lo vede, profe? Noi non abbiamo mai studiato, abbiamo sempre fatto ciò che ci pareva eppure siamo qui, in quinta. In cambio non abbiamo imparato nulla ma a noi, e anche a voi, ci sembra, non importa niente."
E continuavano elencando i disservizi di cui erano stati vittime all'interno del sistema scolastico, evidenziando con ferocia tutte le lacune degli insegnanti, o presunti tali, che avevano incontrato nel corso della loro carriera (chiamiamola così) scolastica.
Non riuscivano a spiegarsi perché mi disperassi al posto loro. "Andrà tutto bene, come è sempre stato. Questa scuola qui fa schifo, profe!".
Si sbagliavano, naturalmente. Ed a un certo punto il Consiglio di Classe decise di fare sul serio. Si unirono alla punizione anche i colleghi che con loro erano stati amiconi fino a quel momento.
Pagarono soprattutto i più fragili. Non che non se lo fossero meritato, per carità.
Sicuramente però, i 52 studenti che si erano iscritti in prima, ripartiti in due diverse classi, avevano altre aspettative: non pensavano certo che, cinque anni dopo, solo 10 di loro avrebbero superato l'Esame di Stato.
Con loro la scuola aveva fallito, mettendo in discussione la propria credibilità.

(Già pubblicato su altra piattaforma il 15 ottobre 2010)

giovedì 8 dicembre 2011

Il coraggio di essere adulti

Non è giusto, non è onesto continuare a prendersela con i più giovani, accusarli di inedia, rimproverarli perché incapaci, svogliati, sfiduciati o anche eccessivi, immorali, disincantati.
In qualità di adulti abbiamo grosse responsabilità: abbiamo preteso di restare per sempre giovani, abbiamo rifiutato di crescere diventando amici dei più giovani, strizzando l'occhio e agevolandoli in un percorso di vita che era piuttosto un eterno giro di giostra, un paese dei balocchi in cui ci si divertiva solamente e non si conosceva il dolore, la sofferenza, la fatica di affrontare le difficoltà, la fatica di crescere.
Adesso però ci si rende conto che i più giovani fanno fatica ad affrontare la quotidianità, si annoiano o sembrano incontentabili. Ricorrono ad artifizi per sopportare la fatica di crescere, di vivere.
Forse è arrivato il momento di cambiare rotta. E di seguire i consigli di chi, come Paolo Crepet (vedi: Paolo Crepet: "L'autorità perduta - Il coraggio che i figli ci chiedono", Einaudi, Milano, 2011), invita gli adulti che per anni hanno abdicato al ruolo di educatori, ad avere coraggio: il coraggio di insegnare ai più giovani ad affrontare e superare le difficoltà, le fatiche, le ansie, le tensioni, gli ostacoli che la vita inevitabilmente comporta per renderli forti, desiderosi di affrontare le sfide e vincerle.

lunedì 5 dicembre 2011

Grido di una ex lettrice delle riviste femminili

Ieri sera il sonno non mi veniva proprio. Per questo mi sono messa a riguardare le vecchie riviste, a cui do un'occhiata subito dopo averle comprate e che dimentico il giorno seguente.
Mi è capitato un numero («di classe») in formato tascabile che però pesa come una mattonella e la quantità dei fogli all'interno si avvicina a quella di «Guerra e pace» di Tolstoy.
Prima di arrivare all'indice ho voltato all'incirca una cinquantina di paginette con la sola pubblicità. Così mi è venuta l'idea di strappare via tutto ciò che non ha a che fare con gli articoli veri e propri. Una pessima idea direi… Erano davvero tante se non troppe…
Lasciando da parte il materiale che riguarda la promozione dei prodotti vari mi sono concentrata sui contenuti rimanenti. Più di un terzo era intasato dalle immagini delle indossatrici anoressiche con su degli abiti che una donna comune non osa a mettere, non soltanto perché i livelli della bizzarria raggiungono le stelle, ma perché sono estremamente scomodi dal punto di vista pratico!!! A questo aggiungiamo le foto mega ingrandite degli accessori, gli articoli su trucco-parrucco ecc… Mi trovo al punto dove due terzi della rivista sono da buttare. Ma che cosa si nasconde dietro quel terzo che rimane? Qualche intervista, qualche recensione di un libro e/o di un film, qualche articolo di qualcuno considerato un'esperta nel proprio campo ma sconosciuto al pubblico e qualche ricetta, consiglio sulla salute, arredamento di casa e viaggio. Un'Encyclopédie in miniatura, ma spiacevolmente nulla di concreto…
Ora voglio rivolgermi alle donne. Prima alle lettrici. Ma vi rendente conto che comperate i periodici che vi parlano degli argomenti in modo talmente superficiale da non considerarvi degli esseri pensanti??? Perché continuate a promuovere questa industria che vi impone il mito dell'immagine??? Il secondo appello va alla redazione (suppongo che anch'essa sia composta da donne). Quanti boschi sono stati tagliati per portare in edicola una rivista che in copertina propone la foto di uno scheletro vivente vestito come un canarino facendo credere che sia QUESTA la bellezza femminile??? Ma a voi, che la create, vi interessa davvero tutto ciò che fate leggere (più che leggere, vedere) agli altri???
Sorpresa dal fatto di come un oggetto destinato allo svago possa indurre ai riflessioni sulla società d’oggi, ho cominciato a scriverne per sfogarmi.
Che delusione, ragazze…

lunedì 21 novembre 2011

"La scuola è sacra"

"Sta scherzando?!?!?!?!" mi sono sentita dire da uno studente di quarta quando, per avviare la mia lezione di pianificazione e condivisione del nuovo anno scolastico, ho scritto sulla lavagna, occupandola pienamente, questa frase, usando le lettere maiuscole e chiedendo agli studenti di riportarla sul loro quaderno degli appunti.
Non stavo scherzando, non sto scherzando. La scuola è sacra. Non lo dico io, lo ha detto, tra gli altri, anche don Lorenzo Milani quando affermava:
"La scuola è quel luogo dove si insegnano cose utili, quelle cose che il mondo non insegna, sennò non va bene". (Don Lorenzo Milani: "Una lezione alla scuola di Barbiana", Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2004, pag.11).
E' un luogo sacro, la scuola, perché è l'Istituzione nella quale si trasmette il sapere, quel sapere che non è mera conoscenza, si badi bene, ma è anche pratica ed esercizio di abilità e competenze.
A scuola si imparano i saperi, si esercitano i saperi, si cambia mentalità ed atteggiamento grazie all'interiorizzazione dei saperi.
Questo significa affermare che "la scuola è sacra".
E' così. Dovrebbe essere così.
Dovrebbe. Non è sempre così.
C'è chi, studenti, genitori, docenti stessi, a volte anche dirigenti, considera la scuola un parcheggio, un circolo ricreativo, un centro sociale, un ufficio postale, un luogo dove incontrare persone su cui scaricare la propria aggressività, la propria frustrazione, la propria miseria intellettuale, la propria insofferenza, il proprio disagio interiore.
La scuola è diventata sempre più un luogo sentito inutile, superato, incerottato, inadeguato.
Non più istituzione verso cui è dovuto rispetto, da parte di tutti, anche di chi a scuola non va più da un pezzo e non ha figli in età scolare.
Un Paese che non investe in Sapere, che non investe sulla Scuola, è destinato a fallire.
E' quanto sta accadendo al nostro misero e disgraziato Paese, in cui sembra si sia perso il senso del rispetto, del decoro, dell'apprezzamento verso chi assume nei confronti di fatti e persone un atteggiamento critico, tipico di chi ha imparato a non emettere giudizi senza conoscere ciò di cui sta parlando, di chi ha imparato a verificare, confrontare, ricercare personalmente, avendone gli strumenti, altre verità, consapevole che non esista un'unica verità, un'unica soluzione, un'unica posizione valida per tutti.
L'omologazione non è un valore fine a se stesso. Il denaro non è un valore fine a se stesso. Ma in quanti, ancora, se ne ricordano?

(Già pubblicato il 18 settembre 2011 su altra piattaforma)

mercoledì 16 novembre 2011

Come in amore

Nel suo articolo pubblicato il 10 settembre scorso sulle pagine fiorentine del "Corriere della Sera" dedicate a "I quaderni della Profe", la sua rubrica settimanale, Antonella Landi ha scritto: "A scuola è come in amore: bisogna essere in due a voler far funzionare il giochino.".
Altrimenti, ho aggiunto io, ieri mattina, dopo una delle più memorabili sfuriate che mi sia capitato di fare agli studenti, diventa masturbazione. Masturbazione intellettuale, ma sempre masturbazione è.
Loro, gli studenti, hanno apprezzato. Hanno chiesto di scrivere la frase sulla lavagna.
Ci eravamo chiariti. Ci eravamo rappacificati.
Stavano seguendo attentamente, prendendo diligentemente gli appunti per prepararsi alla prossima verifica scritta. E anch'io procedevo in modo spedito e preciso, attenta ad ogni dubbio o richiesta che provenisse da loro.
Ci eravamo chiesti reciprocamente scusa e sembrava che nulla, in precedenza, fosse accaduto.
Proprio come succede dopo un litigio tra innamorati.